Di Rosalia Ruggieri su Martedì, 29 Settembre 2020
Categoria: Donne

Atti persecutori: la querela può essere acquisita anche al termine della discussione finale

Con la sentenza n. 26348 dello scorso 21 settembre, la V sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito a un caso di stalking, ha avallato la scelta del Tribunale di acquisire la querela dopo la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, al momento della discussione finale.

Si è, difatti, precisato che i documenti necessari alla verifica della procedibilità possono essere acquisiti in ogni stato e grado del giudizio di merito, senza che ne derivi un nocumento al diritto di difesa, potendo l'imputato chiedere l'immediata declaratoria di improcedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 1, e dovendo il giudice verificare, in tal caso, se la condizione di procedibilità sussista effettivamente.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del delitto di atti persecutori aggravati in danno dell'ex moglie.

In particolare, l'ex marito, con condotte reiterate e costanti, aveva minacciato e molestato la donna, cagionandole un perdurante stato d'ansia e di paura, nonché un fondato timore per l'incolumità propria, del proprio figlio e del proprio, nuovo, compagno.

Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Messina riconoscevano l'uomo colpevole del delitto contestato e lo condannavano alla pena di giustizia, pari ad anni tre e mesi quattro di reclusione. 

A completamento del giudizio di colpevolezza i giudici, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, acquisivano al fascicolo del dibattimento le querele sporte dalla parte offesa.

Ricorrendo in Cassazione, l'imputato eccepiva violazione e falsa applicazione della legge penale, nonché inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione agli articoli 523 e 524 c.p.p..

Si censurava, infatti, la sentenza della Corte di appello per aver avallato la decisione con cui il giudice di prime cure aveva acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 523 c.p.p., le querele sporte dalla parte offesa, ritenendone comunque legittima l'acquisizione anche dopo la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, al momento della discussione finale.

A tal fine si evidenziava come i giudici di merito, così facendo, avevano violato il disposto dell'art. 523 c.p.p., comma 6, a mente del quale il giudice può interrompere la discussione per l'assunzione di nuove prove.

Per la difesa del ricorrente, il giudice – piuttosto che attendere l'esito della discussione – avrebbe dovuto interromperla: di contro, la scelta di attendere l'esaurirsi della discussione aveva implicato, oltre alla violazione del citato articolo 523 c.p.p., anche l'introduzione di fatto nuovo su cui la difesa dell'imputato nulla aveva potuto osservare od obiettare, con elusione della logica del sistema, che pone la discussione finale all'esito di un iter conosciuto in tutti i suoi elementi dal difensore; si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 524 c.p.p., ove pone un limite ben preciso al dibattimento, costituito proprio dall'esaurimento della discussione. 

 La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini rilevano come, in tema di atti relativi alla procedibilità, la mancata acquisizione, "ab initio", al fascicolo delle indagini preliminari della prova dell'effettiva sussistenza della querela non comporta l'invalidità o l'inutilizzabilità degli atti compiuti e del conseguente esercizio dell'azione penale.

I documenti necessari alla verifica della procedibilità possono essere acquisiti in ogni stato e grado del giudizio di merito, senza che ne derivi un nocumento al diritto di difesa: ben può, infatti, l'imputato chiedere l'immediata declaratoria di improcedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 1, con il correlativo obbligo per il giudice verificare, in tal caso, se la condizione di procedibilità sussista effettivamente.

Con specifico riferimento al caso di specie, sebbene la querela sia stata acquisita al termine della discussione, la stessa non è stata utilizzata per fine diverso da quello inerente alla procedibilità: la ricostruzione del fatto, infatti, è rimasta incentrata sulla deposizione resa in dibattimento dalla persona offesa e non sull'atto di querela.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

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