Di Rosalia Ruggieri su Martedì, 30 Aprile 2019
Categoria: Famiglia e Conflitti

Assegno divorzile, SC: “Processi da rifare, alla luce dei nuovi criteri delle Sezioni Unite”

Con la sentenza n. 11178 dello scorso 23 aprile, la Corte di Cassazione, chiamata a vagliare la congruenza dell'importo stabilito dalla Corte di Appello di Roma quale assegno divorzile, ha cassato la sentenza impugnata, in quanto era stata pronunciata – prima dell'intervento delle Sezioni Unite del 2018 – sulla base di un quadro fattuale volto a considerare quale fosse il tenore di vita dei coniugi.

Si è difatti specificato che "il nuovo indirizzo interpretativo non comporta soltanto una diversa valutazione giuridica di un quadro fattuale inalterato, ma implica anche l'accertamento di un diverso quadro fattuale, non considerato dalla vecchia regola sostituita perché ritenuto irrilevante. In una situazione di tal fatta, i processi iniziati sotto il vigore delle vecchie regole, per attenersi al dictum delle Sezioni Unite, devono essere definiti sulla scorta della regola da queste affermata".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, un marito ricorreva presso la Corte di Appello di Roma affinché, in riforma di quanto stabilito dal giudice di prime cure, si procedesse ad una revisione dell'importo stabilito quale assegno divorzile in favore dell'ex moglie.

La Corte di Appello di Roma confermava l'attribuzione dell'assegno divorzile per un importo pari ad Euro 400,00 mensili. In particolare, il giudice distrettuale, richiamata la giurisprudenza fino ad allora formatasi in tema di interpretazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970, considerava sussistente una differente capacità reddituale delle parti, da ciò desumendo l'inadeguatezza dei redditi della donna a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio.

Ricorrendo in Cassazione, l'uomo denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970, rilevando come la sentenza impugnata si era limitata alla mera ponderazione e comparazione dei redditi delle parti, escludendo la verifica dell'impossibilità oggettiva, per la donna, di procurarsi redditi idonei a mantenere il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. 

La Corte non condivide l'accertamento compiuto dalla sentenza impugnata.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano come le Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018) hanno riconosciuto all'assegno divorzile una funzione composita – assistenziale e perequativa/compensativa – sicché, nella determinazione del quantum dovuto, risulta assolutamente necessario procedere ad un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell'avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.

Ne deriva che il giudice, superando la rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio, deve compiere una valutazione complessiva dei parametri normativamente previsti, effettuando una valutazione comparativa delle condizioni economico - patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto, valutando se la sperequazione sia frutto del sacrificio delle aspettative professionali e reddituali della parte che ha fornito il maggior contributo alla famiglia. Alla luce di tanto, il giudice deve quantificare l'assegno in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.

Il nuovo indirizzo interpretativo non comporta soltanto una diversa valutazione giuridica di un quadro fattuale inalterato, ma implica anche l'accertamento di un diverso quadro fattuale, non considerato dalla vecchia regola sostituita perché ritenuto irrilevante. 

In particolare, la sentenza in commento specifica come – mentre, per circa tre decenni si è applicata una regola giuridica che intendeva l'inadeguatezza dei mezzi come incapacità di mantenere il tenore di vita di cui si era goduto in costanza di matrimonio – dopo l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2018 la regola è diventata un'altra, implicando l'accertamento di diversi fatti; ne deriva che i processi iniziati sotto il vigore delle vecchie regole, per attenersi al dictum delle Sezioni Unite, devono essere definiti sulla scorta della regola da queste affermata.

Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata – nel fare applicazione del trentennale orientamento giurisprudenziale legato al tenore di vita – ha valorizzato la notevole disparità reddituale dei coniugi e la inadeguatezza dei redditi della moglie a mantenere solo con le sue modeste risorse un tenore di vita in qualche misura analogo a quello della convivenza coniugale, senza far derivare l'accertamento di quel diritto da una ponderazione unitaria di tutti i criteri presi in considerazione dal recente arresto Sezioni Unite.

Tale omissione implica, secondo gli Ermellini, la necessità di provvedere ad una nuova valutazione sulla spettanza, o meno, del diritto in questione in favore della moglie, attraverso il riesame, alla luce dei richiamati principi della Suprema Corte, del complessivo quadro fattuale desumibile dall'istruttoria svolta, con esplicita possibilità per le parti di essere rimesse nei poteri di allegazione e prove conseguenti al menzionato dictum delle Sezioni Unite.

La Corte accoglie quindi il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. 

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