Di Rosalia Ruggieri su Mercoledì, 05 Febbraio 2020
Categoria: Famiglia e Conflitti

Assegno divorzile: nessuna revoca se la beneficiaria riceve un’eredità e deve assistere la madre disabile

Con l'ordinanza n. 506 depositata lo scorso 14 gennaio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un marito che, nel chiedere la revisione delle condizioni stabilite in sede di divorzio, si doleva della mancata revoca dell'assegno divorzile a favore della moglie, divenuta nelle more erede delle ricchezze del defunto padre e badante della propria madre invalida.

Si è difatti confermata la decisione della Corte di appello che – in considerazione di una valutazione complessiva delle condizioni sopravvenute favorevoli, quali la successione ereditaria, e sfavorevoli, quali la perdita del lavoro, la necessità di assistere la madre e l'età raggiunta che le impediva di ipotizzare una persistente capacità lavorativa – respingeva la richiesta di revocare o ridurre ulteriormente l'assegno.

Una coppia di coniugi perveniva, nel 1999, a un accordo sulla base del quale otteneva l'emissione di una sentenza di divorzio congiunto che prevedeva l'attribuzione alla moglie di un assegno mensile di 550 Euro. 

Successivamente il marito proponeva ricorso ex art. 9 della legge n. 898/1970 chiedendo al Tribunale di Padova la revoca dell'assegno per sopravvenuto incremento del patrimonio e del reddito dell'ex moglie che, nelle more, aveva ereditato i beni del defunto padre e, andando a vivere con la madre disabile, beneficiava di ulteriori introiti derivante dall'assistenza di quest'ultima.

Il Tribunale di Padova, accogliendo parzialmente il ricorso dell'uomo, riduceva l'assegno a 350 Euro mensili.

Pronunciandosi sull'appello proposto dall'ex marito, che insisteva per ottenere la revoca dell'assegno, la Corte di appello di Venezia respingeva l'avanzata richiesta, ritenendo che l'assenza di redditi da lavoro, l'età dell'ex moglie e la sua dedizione alla assistenza della madre giustificassero la conferma della decisione di primo grado.

Ricorrendo in Cassazione, l'uomo censurava la decisione della Corte distrettuale per violazione dell'art. 9 della legge n. 878/1970, dolendosi per non aver la Corte d'Appello né considerato l'intervenuto cambiamento della giurisprudenza sui presupposti del riconoscimento dell'assegno divorzile né valutato adeguatamente le nuove circostanze di fatto che incidevano sulla spettanza dell'assegno stesso, ovvero il fatto che l'ex moglie fosse divenuta la badante retribuita della madre.

Interveniva con controricorso la donna, la quale contestava l'applicabilità della nuova giurisprudenza in materia di assegno divorzile e negava di aver mai ricevuto alcun compenso dalla madre, così come emerso anche dalla testimonianza che quest'ultima aveva reso sul punto. 

La Cassazione non condivide le censure formulate dall'ex marito.

I Supremi Giudici evidenziano come le doglianze prospettate mirino ad una richiesta di riesame del diritto della beneficiaria a percepire l'assegno divorzile, sulla scorta dell'assunto secondo cui la stessa non avrebbe più una condizione di non autosufficienza economica.

Sul punto, tuttavia, la Cassazione precisa come la Corte di appello abbia respinto la richiesta di revocare o ridurre ulteriormente l'assegno in considerazione di una valutazione complessiva delle condizioni sopravvenute favorevoli (quali la successione ereditaria) e sfavorevoli (la perdita del lavoro, la necessità di assistere la madre e l'età raggiunta che le impediva di ipotizzare una persistente capacità lavorativa).

Inoltre, gli Ermellini sottolineano come la Corte territoriale abbia ampiamente e correttamente considerato i mutamenti nella vita dell'ex moglie e, proprio in virtù della assistenza prestata dalla donna alla madre e ai vantaggi economici che ne erano derivati e potevano derivarne in futuro, ha provveduto a ridurre notevolmente l'assegno divorzile da 516,46 Euro a 350,00 Euro mensili, così confermando la legittimità del diritto della donna a percepire l'assegno nella misura ridotta.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello relativo al ricorso principale.

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