Con l'ordinanza n. 18522 depositata lo scorso 4 settembre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l'obbligo di un uomo di versare un assegno divorzile all'ex moglie, la quale – sebbene si fosse impegnata nella ricerca di un lavoro stabile, accettando lavori a termine e partecipando a concorsi – non aveva raggiunto l'autosufficienza economica.
I giudici hanno valorizzato il dato per cui la donna aveva, di fatto, mezzi inadeguati per vivere: motivo, questo, sufficiente per confermare il diritto all'assegno, posto che l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Chieti – pronunciando la cessazione degli effetti civili di un matrimonio contratto da una coppia di coniugi – poneva a carico del marito il pagamento di un assegno divorzile in favore dell'ex moglie pari ad euro 400.
A distanza di anni, l'uomo – dopo essersi risposato e aver avuto altri figli – adiva nuovamente il Tribunale per ottenere la revisione delle condizioni di divorzio nei confronti della ex coniuge, deducendo come l'assegno divorzile andasse revocato, sia perché doveva occuparsi della nuova famiglia sia perché l'ex moglie non si era impegnata nella ricerca di un lavoro.
La Corte di Appello di L'Aquila respingeva la domanda di revoca dell'assegno divorzile: i giudici di merito rilevavano come l'ex moglie aveva dimostrato di essersi attivata, negli anni, nella ricerca di un lavoro stabile, accettando lavori a termine e partecipando a concorsi, ma il suo impegno non le aveva comunque consentito di raggiungere l'autosufficienza economica; il marito, di contro, non aveva allegato fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile tali da giustificare la revoca dell'assegno, non potendo il diritto alimentare del coniuge beneficiario essere recessivo rispetto a quello dei nuovi figli nati da una seconda relazione.
Ricorrendo in Cassazione, l'uomo denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 156-2697 c.c., in relazione all'art. 710 c.p.c. e all'art. 9 della legge 898/1970, per aver la sentenza impugnata omesso di valutare la possibilità dell'ex moglie di ricercare un lavoro, pur essendone abile.
A tal riguardo il ricorrente rilevava come era onere dell'ex moglie provare l'impossibilità di trovare un'occupazione lavorativa: secondo l'uomo – non avendo la donna assolto questo onere ed essendo la stessa in grado di lavorare – non poteva il contributo di mantenimento divorzile essere "un beneficio a vita", così traducendosi in un'entrata economica di privilegio.
In seconda istanza, eccepiva come la corte territoriale non avesse considerato la sua nuova condizione familiare, a seguito della quale le sue entrate economiche dovevano far fronte anche alla presenza di figli nati da una seconda relazione.
La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.
La Corte ricorda che, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa: il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello dei nuovi figli nati da una seconda relazione del coniuge obbligato e spetta al giudice di merito il sindacato in ordine all'an del diritto, compiendo una valutazione incentrata sull'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge e sull'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini considerano inammissibile il motivo prospettato dal ricorrente in quanto lo stesso si incentra su argomentazioni inconferenti rispetto al caso concreto, senza prendere minimamente in considerazione né quanto accertato dai Giudici d'appello né gli altri parametri di legge individuati ed interpretati dalla giurisprudenza ai fini dell'assegnazione dell'assegno divorzile.
La Corte di merito, infatti, dopo aver espressamente valutato l'impegno dell'ex moglie nella ricerca di un lavoro e le sue oggettive difficoltà nel trovare un'occupazione, ha reputato inadeguati i mezzi della donna, affermando come l'impossibilità di procurarseli fosse legata a ragioni oggettive.
Il ricorrente, di contro, si è limitato a svolgere astratte considerazioni circa l'impossibilità di configurare l'assegno divorzile come "un beneficio a vita", senza specificare quali fossero i parametri di legge, dettati in tema di assegno divorzile, asseritamente violati e limitandosi a ribadire come, per la sua condizione di coniugato con altra donna e con figli, fosse venuto meno il suo obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile.
Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione.