Di Rosalia Ruggieri su Giovedì, 12 Luglio 2018
Categoria: Legge e Diritto

Assegno divorzile: le Sezioni Unite ricostruiscono i criteri di calcolo

Con la pronuncia n. 18287 depositata ieri, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno attribuito  all'assegno di divorzio funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa: vengono meno i criteri del tenore di vita o dell'autosufficienza economica, in quanto ai fini del riconoscimento dell'assegno, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso effettuato da una donna avverso la sentenza della Corte di Appello, la quale – aderendo all'orientamento affermatosi a seguito della nota sentenza Grilli (n. 11504 del 2017) – le negava il diritto di percepire l'assegno divorzile, essendo la stessa economicamente autosufficiente.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa della donna evidenziava come il criterio autosufficienza economica ledesse il principio di solidarietà post matrimoniale e fosse foriero di gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole avesse rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari.

Stante il contrasto giurisprudenziale esistente sui parametri da considerare ai fini dell'assegnazione e quantificazione dell'assegno divorzile, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite che, con la sentenza in commento, procedono ad un'analisi storica dell'art.5 comma 6 della legge 898/70. 

 La formulazione originaria si fondava su criteri attributivi – in presenza dei quali sorgeva l'an all'assegno (ovvero le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisioni) – e su quelli determinativi, rilevanti per stabilirne il quantum (ovvero il contributo dato da ciascun coniuge).

La giurisprudenza assegnava all'assegno una natura composita, sia assistenziale (perché il giudice doveva considerare le condizioni economiche dei coniugi), sia risarcitoria (in relazione alle ragioni della decisione), sia compensativa (dovendo il giudicante tener conto del contributo dato da ciascun coniuge), attribuendo così alle Corti di merito ampi poteri discrezionali, soprattutto nella quantificazione dell'importo.

Tale orientamento fu presto oggetto di critiche, sia per l'eccessiva discrezionalità riservata al giudice sia perché ritenuto anacronistico di fronte alle profonde mutazioni nella società civile, concretizzatesi con l'evoluzione del ruolo femminile all'interno della famiglia e con l'affermazione del principio di autoresponsabilità ed autodeterminazione all'interno delle scelte relazionali.

Sulla base di tali rilievi, nel 1987 si è proceduto alla novella dell'art. 5 comma 6, accorpando tutti gli indicatori che compongono il criterio assistenziale, compensativo e risarcitorio nella prima parte della norma ed inquadrandoli come fattori di cui si deve tenere conto nel disporre sull'assegno di divorzio, da attribuirsi quando il richiedente non ha mezzi adeguati.

Ne sono seguiti due orientamenti giurisprudenziali che – sebbene partissero da una premessa comune, ovvero che i criteri indicati nella prima parte della norma avessero funzione esclusivamente determinativa dell'assegno, la cui attribuzione dipendeva esclusivamente dall'inadeguatezza dei mezzi – assegnavano all'espressione mezzi adeguati due significati molto diversi: il primo lo ancorava ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio; il secondo alla sola autosufficienza economica dell'istante.

Le Sezioni Unite – pur rilevando che dalla lettura del nuovo testo dell'art. 5 comma 6 non si ricavano indicazioni applicative univoche in ordine all'esatta determinazione del sintagma mezzi adeguati – evidenziano che le due parti della norma sono legate da un nesso di dipendenza logica testuale che ne impone un esame esegetico unitario: la valutazione sull'inadeguatezza dei mezzi deve avvenire tenendo conto di tutti i fattori indicati nella prima parte della norma, attribuendo primaria e peculiare importanza all'apporto fornito dall'ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare.

L'esame congiunto di tutti i parametri riassegna il giusto ruolo al principio di autoresponsabilità dei coniugi, valorizzando le loro scelte personali: la libertà di scelta e l'autoresponsabilità, espressione del canone di uguaglianza di cui all'art. 3 e 29 della Costituzione, costituiscono il fondamento dell'unione matrimoniale e sono posti alla base delle decisioni prese in costanza di matrimonio per determinare il modello di relazione coniugale da realizzare, per definire i ruoli e il contributo di ciascun coniuge all'attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall'art. 143 cod. civ.

Sotto questo aspetto, le Sezioni Unite evidenziano come il legislatore sia stato largamente consapevole del forte condizionamento che il modello di relazione matrimoniale prescelto dai coniugi può determinare sulla loro condizione economico­ patrimoniale successiva allo scioglimento: per questa ragione ha imposto al giudice di tenere conto di una serie d'indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di auto responsabilità.

Tali indicatori sopperiscono all'intrinseca relatività del criterio dell'adeguatezza dei mezzi e permettono di giungere ad una valutazione concreta ed effettiva sulla mancanza di mezzi adeguati, valutando se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all'atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell'assunzione del ruolo trainante dell'altra. 

L'assegno di divorzio assume, quindi, accanto alla funzione assistenziale, una preminente funzione equilibratrice-perequativa: si ristabilisce la situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare. Al contempo si garantisce il rispetto del principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, senza depotenziare l'autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi, in quanto la determinazione dell'assegno deve essere saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.

Ne consegue che ai fini del riconoscimento dell'assegno, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, consideri non solo il raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza al richiedente, ma anche la sussistenza di livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendoconto delle aspettativeprofessionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente.

Sulla scorta di tali principi, gli Ermellini accolgono il ricorso, essendosi la sentenza impugnata fondata esclusivamente sul criterio dell'autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine l'accertamento dell'eventuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti nell'art. 5 c.6 della I. n. 898 del 1970 ed in particolare quello relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e personale dell'altro ex coniuge. 

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