Con l'ordinanza n. 28995 depositata lo scorso 17 dicembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha chiesto un intervento delle Sezioni Unite sulla questione, ritenuta di massima importanza, relativa alla disciplina da riservarsi all'assegno di divorzio là dove il coniuge che ne benefici abbia instaurato una convivenza di fatto con un terzo.
Si è difatti chiesto di stabilire se instaurata la convivenza di fatto, definita all'esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all'assegno divorziale si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell'assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano dell'assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Venezia– pronunciando lo scioglimento del matrimonio tra una coppia di coniugi – poneva a carico del marito l'obbligo di versare, a favore della moglie, un assegno di Euro 850,00 mensili, oltre al mantenimento dei figli minori.
La Corte di Appello di Venezia, riformando parzialmente la decisione di primo grado, revocava l'obbligo dell'uomo di corrispondere l'assegno divorzile, in quanto l'ex moglie aveva instaurato una stabile convivenza di fatto con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia: secondo i giudici di merito, infatti, la semplice convivenza more uxorio con altra persona provocava, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l'immediata soppressione dell'assegno di divorzile.
Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 comma 10 della legge n. 898 del 1970, per aver la Corte di appello ritenuto che l'instaurazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto, sciogliendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determinasse l'automatica decadenza dall'assegno divorzile senza possibilità di ponderare i redditi dei coniugi.
A tal fine la ricorrente ribadiva come un siffatto automatismo decadenziale andava riferito solo al caso delle nuove nozze e non anche in quello di nuova convivenza, caso questo in cui doveva prediligersi la funzione assistenziale e perequatrice dell'assegno divorzile.
Sul punto l'ex moglie evidenziava che, nei nove anni di durata del matrimonio, aveva rinunciato ad un'attività professionale, per dedicarsi interamente ai figli e permettere all'ex marito di dedicarsi proprio successo professionale; dopo il divorzio, più in età per poter reperire un'attività lavorativa, la deducente viveva con i figli dell'assegno divorzile e si era unita all'attuale compagno, da cui aveva avuto una figlia, un operaio che percepiva un reddito lavorativo di poco più di mille Euro al mese.
Con la sentenza in commento, la Corte evidenzia come la questione sollevata dalla ricorrente rientri tra quelle di particolare importanza che richiedono un intervento delle Sezioni Unite.
In particolare, l'orientamento giurisprudenziale più recente – fatto proprio dalla Corte di appello e da cui la sentenza in commento ritiene di dover dissentire – reputa che l'instaurazione della convivenza di fatto con un terzo abbia diretta incidenza sul diritto dell'ex coniuge, economicamente più debole, all'assegno di divorzio: tale orientamento si fonda sul principio dell'auto-responsabilità, in virtù del quale la persona mette in conto, quale esito della scelta di convivenza compiuta, del venir meno dell'assegno divorzile e di ogni forma di residua responsabilità post-matrimoniale, rescindendosi attraverso la nuova convivenza ogni legame con la precedente esperienza matrimoniale ed il relativo tenore di vita. L'automatismo degli effetti estintivi resta, d'altra parte, mediato e contenuto dall'accertamento operato in sede giudiziale circa i caratteri della famiglia di fatto, in quanto formazione stabile e duratura, e, ancora, in ragione della solidarietà economica che si realizza tra i componenti di quest'ultima.
Tuttavia, gli Ermellini, con la sentenza in commento, evidenziano come il principio di autoresponsabilità deve operare non soltanto per il futuro – chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e a conseguenti assunzioni di responsabilità – ma anche per il tempo passato, contemperando la natura assistenziale e compensativa dell'assegno divorzile, volto a riconoscere all'ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all'interno della disciolta comunione nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell'altro coniuge.
In tale veste protesa al futuro, il principio di autoresponsabilità richiede che il beneficiario possa godere dell'assegno divorzile non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell'interesse della famiglia e dell'altro coniuge; conseguentemente, il principio di autoresponsabilità non può escludere, e per intero, il diritto all'assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo.
Secondo la Cassazione, pertanto, ben può ritenersi che permanga il diritto all'assegno di divorzio nella sua natura compensativa, restando al giudice di merito, al più, da accertare l'esistenza di ragioni per un'eventuale modulazione del primo là dove la nuova scelta di convivenza si rilevi migliorativa delle condizioni economico-patrimoniali del beneficiario e tanto rispetto alla funzione retributiva dell'assegno segnata, come tale, dall'osservanza di una misura di autosufficienza.
Da ultimo, la Corte rileva come nessuna indicazione contraria all'applicazione dell'assegno divorzile possa derivare dalla disciplina della convivenza di fatto, laddove si riconosce, anche ai conviventi di fatto, quando la convivenza venga meno, il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c.: la finalità in gioco è qui, nettamente, quella assistenziale, spesa sulla necessità del riconoscimento di un aiuto economico all'ex convivente; conseguentemente, nella diversità degli interessi in rilievo, la questione della distinta sorte da riservarsi all'assegno divorzile nella instaurazione di una stabile convivenza di fatto del beneficiario, resta aperta.
In conclusione, la Corte rimette gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione delle questioni, di massima di particolare importanza ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2.