Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 15 Ottobre 2021
Categoria: Il meglio della Giurisprudenza 2021

Assegno divorzile: chi deve provare la mancanza di lavoro del coniuge richiedente?

Con l'ordinanza n. 25646 depositata lo scorso 22 settembre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha fornito talune precisazioni in merito all'onere probatorio in materia di assegno divorzile, escludendo che ricada sul coniuge obbligato fornire la prova di avere l'altro coniuge ricevuto proposte di lavoro e di averle rifiutate.

Si è difatti precisato che, attesa la natura assistenziale e perequativa dell'assegno di divorzio, è chi richiede l'assegno che deve dare la prova di non essere riuscito a rendersi autonomo senza sua colpa.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Sassari dichiarava la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, ponendo a carico del marito il pagamento di un assegno di divorzio di Euro 300,00 mensili in favore dell'ex coniuge.

La pronuncia veniva confermata dalla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.

Ricorrendo in Cassazione, il marito censurava la decisione della Corte distrettuale per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per non aver la Corte considerato che la moglie, dopo la separazione, aveva vissuto per dieci anni, senza alcun assegno divorzile: secondo il ricorrente tale circostanza, secondo il fatto notorio, avrebbe dovuto essere apprezzata come indice della capacità lavorativa della donna che, a seguito della sentenza di separazione, godeva soltanto di 100,00 Euro mensili a titolo di contributo spese per la gestione della ex casa coniugale. 

In seconda istanza l'ex marito eccepiva come la sentenza impugnata, con inversione dell'onere della prova, lo avesse gravato di un onere invece incombente sull'ex moglie, nella parte in cui aveva valorizzato la mancanza di prova sulla circostanza che il primo avesse reperito occasioni di lavoro per la seconda: secondo il ricorrente, invece, ricadeva sulla donna l'onere di dimostrare l'incolpevole mancato reperimento di un'entrata economica, frutto della propria attività lavorativa.

La Cassazione condivide le censure formulate.

In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che anche in tema di assegno divorzile l'onere della prova, sia che riguardi fatti costitutivi che eccezioni, avente ad oggetto fatti negativi, segue le regole generali di cui all' art. 2697 c.c., sicché può essere assolto mediante la dimostrazione, anche in via presuntiva, di uno specifico fatto positivo contrario, quale l'essersi l'ex coniuge attivata senza successo nel reperimento di un'attività lavorativa.

Sul punto, sebbene sia potere del giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, tuttavia la mancata valutazione di un elemento indiziario può dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, influendo in maniera decisiva sulla motivazione. 

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la Corte territoriale abbia omesso l'esame di un fatto storico decisivo e mai contestato, ovvero che la signora non aveva mai chiesto un assegno in proprio favore in sede di separazione, intervenuta nell'anno 2008, richiedendolo solo in sede di divorzio nel 2018, ossia dieci anni dopo.

La sentenza in commento rileva come siffatta circostanza avrebbe dovuto indurre la Corte d'Appello a ritenere comprovato che l'ex coniuge avesse svolto un qualsiasi lavoro, anche irregolare, altrimenti, la donna non avrebbe potuto vivere in tranquillità per dieci anni.

In relazione all'onere probatorio, la Corte ricorda che, attesa la natura assistenziale e perequativa dell'assegno di divorzio, è chi richiede l'assegno che deve dare la prova di non essere riuscito a rendersi autonomo senza sua colpa; diversamente, la sentenza impugnata ha incongruamente posto a carico del ricorrente la prova di avere la moglie ricevuto proposte di lavoro e di averle rifiutate.

Alla luce di tanto, la Cassazione accoglie il ricorso e rinvia alla corte del merito, in diversa composizione, affinché proceda agli accertamenti necessari alla corretta applicazione dei principi esposti. 

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