Con l'ordinanza n. 5932 depositata lo scorso 4 marzo, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha revocato l'assegno di mantenimento disposto a favore di una donna che aveva rifiutato diverse opportunità lavorative, ritenute non consone con la propria istruzione e precedente occupazione.
Si è quindi precisato che in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale; donde rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Trieste dichiarava la separazione di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento di un contributo di mantenimento di euro 1.000,00 mensili per la moglie.
La pronuncia veniva appellata dal marito, che si doleva della scelta della moglie di rifiutare diverse opportunità lavorativa.
La Corte di Appello di Trieste confermava gli importi stabiliti in primo grado, affermando il diritto della donna a rifiutare ogni lavoro ritenuto non pertinente ed adeguato con la sua laurea, non potendo la richiedente, che in precedenza aveva goduto di un livello di vita invidiabile, essere «condannata al banco di mescita o al badantato».
Ricorrendo in Cassazione, il marito censurava la decisione della Corte distrettuale per violazione o falsa applicazione dell'art. 115, comma 1, c.c. con riguardo all'assegno in favore della moglie, confermato nella misura di Euro 1.000,00 mensili, nonostante la stessa avesse sempre rifiutato diversi lavori.
La Cassazione condivide la censura formulata.
In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale; ne deriva che rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata non si sia attenuta ai principi sopra espressi, ponendosi in apparente contrasto con il dettato di cui all'art. 156 c.c., in ragione del fatto che, oltre a ritenere irrilevante la ricerca di un lavoro, quale fonte di reddito, si è data piena giustificazione al rifiuto della donna di accettare un impiego che non fosse esattamente adeguato al suo titolo di studio ed alle sue aspirazioni individuali.
La Cassazione evidenzia, inoltre, come la corte territoriale, nel confermare la debenza dell'assegno si è limitata ad affermare il diritto di non reperire alcuna attività lavorativa reputata inferiore, senza però affermare di avere valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti, al fine di poterne fondatamente affermare, all'esito della valutazione dei medesimi, la reale inadeguatezza e inaccettabilità per la richiedente; inoltre, ha omesso di porre la propria attenzione sugli elementi rilevanti, come l'essere o no la coniuge in grado di procurarsi redditi adeguati, l'esistenza o no di proposte di lavoro, l'eventuale rifiuto immotivato di accettarle o comunque, l'attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa.
Alla luce di tanto, la Cassazione accoglie il ricorso e rinvia alla corte del merito, in diversa composizione, affinché proceda agli accertamenti necessari alla corretta applicazione dei principi esposti