Con l'ordinanza n. 24460 depositata lo scorso 10 settembre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha ritenuto congruo l'importo dell'assegno di mantenimento disposto a carico di un padre.
Dopo aver rilevato che la Corte territoriale, nel determinare l'importo, aveva – correttamente – tenuto in considerazione anche gli oneri relativi al soddisfacimento delle esigenze dei figli minori, la Cassazione ha precisato che "in tema di separazione personale dei coniugi, la valutazione delle condizioni economiche delle parti, ai fini della determinazione del contributo rispettivamente dovuto per il mantenimento dei figli, non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Napoli dichiarava la separazione di una coppia di coniugi, assegnando alla moglie la casa coniugale e disponendo l'affidamento condiviso dei figli, con collocamento del figlio presso il padre e della ragazza presso la madre; nel disciplinare i rapporti dei minori con i genitori non collocatari, la sentenza poneva a carico della moglie l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 200,00, da rivalutarsi annualmente, ed a carico del marito l'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 1.100,00, da rivalutarsi annualmente.
La Corte di Appello di Napoli, accogliendo il gravame proposto dal marito, rideterminava in Euro 650,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice Istat, il contributo dovuto dall'uomo per il mantenimento della figlia minore, ripartendo in egual misura tra i coniugi le spese di istruzione, quelle mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale e quelle sportive e di svago.
Ricorrendo in Cassazione, la moglie censurava la decisione della Corte distrettuale per violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare, la donna si doleva della circostanza per cui la sentenza impugnata, nel rideterminare il contributo dovuto dal coniuge per il mantenimento della figlia, aveva ritenuto equivalenti i redditi dei coniugi e gli oneri economici dagli stessi sostenuti per garantirsi un'adeguata abitazione, senza tener in debito conto la documentazione prodotta, da cui emergeva che la moglie, titolare di un reddito inferiore alla metà di quello del coniuge, pagava un canone di locazione quasi doppio di quello corrisposto da quest'ultimo.
La Cassazione non condivide la censura formulata.
In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che, in tema di separazione personale dei coniugi, la valutazione delle condizioni economiche delle parti, ai fini della determinazione del contributo rispettivamente dovuto per il mantenimento dei figli, non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata si sia posta in linea con il richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità laddove, nel disporre la riduzione dell'assegno mensile posto a carico del marito, ha proceduto ad una comparazione tra le situazioni economiche dei coniugi globalmente considerate, nell'ambito del quale ha tenuto conto sia degl'introiti risultanti dalla documentazione fiscale prodotta in giudizio che degli oneri sopportati per la locazione delle rispettive case di abitazione, oltre che di quelli relativi al soddisfacimento delle esigenze dei figli minori, nei periodi da questi ultimi trascorsi presso ciascuno dei genitori.
Di contro la ricorrente, nel censurare il predetto accertamento, non ha individuato circostanze di fatto trascurate dalla sentenza impugnata ed idonee ad orientare diversamente la decisione, sollecitando un nuovo apprezzamento del materiale probatorio, non consentito in sede di legittimità.
Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.