La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 18287/2018 è intervenuta, come è noto, ribaltando il principio affermato nel 2017 secondo il quale il diritto all'assegno divorzile era ancorato all'accertamento dell'autosufficienza economica del coniuge richiedente (Cass. Sez.I, sent. n. 11504/2017) ed in conseguenza di ciò, la fase riguardante l'an debeatur si basava sul principio dell'auto responsabilità economica, trattandosi di persone singole; la fase del quantum debeatur era improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato nei riguardi del coniuge economicamente più debole, sulla base degli articoli 2 e 23 della Costituzione.
Pertanto, in passato vi erano state decisioni molto spesso innovative come ad esempio quella di ridurre l'assegno nei confronti della ex moglie percettrice di assegno sociale o nei confronti di colei che era tornata a vivere dai genitori; alle volte i Giudici si erano orientati applicando il criterio del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Con la sentenza n. 18287/2018 vengono definitivamente chiariti i principi da tenere in considerazione, affermando che l'assegno divorzile non ha funzione meramente assistenziale, ma, anche compensativa e perequativa rispetto ad eventuali sacrifici e rinunce che, il coniuge più debole ha svolto per favorire la famiglia. Occorre cioè considerare quelle scelte libere e responsabili prese dai coniugi, di comune accordo in costanza di matrimonio e che possono avere inciso sul loro profilo economico – patrimoniale dopo la fine del rapporto. E' quindi in tal caso corretto tenerne conto ed offrire una protezione adeguata all'ex coniuge che, ad esempio, abbia rinunciato alla propria carriera lavorativa per occuparsi della famiglia.
Ciò significa che il Giudice non deciderà sulla base solo ed esclusivamente del tenore di vita goduto, ma, terrà conto del contributo fornito da ognuno alla formazione del patrimonio comune e personale in base alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali ed all'età.
Si tratta di un criterio composito basato sui principi della pari dignità e di solidarietà e rispetto al passato costituisce un riconoscimento all'assegno di divorzio di una funzione assistenziale ed insieme compensativa e perequativa, il che consente di riequilibrare eventuali squilibri determinati da decisioni prese in relazione alla conduzione della vita familiare.
Alla luce di siffatto orientamento, è comprensibile la recente sentenza della Cassazione n. 15241/2022 che ha sottolineato come la ex moglie conserva il proprio diritto all'assegno divorzile se, pur convivendo, non ha i mezzi adeguati per mantenersi ed è impossibilitata a procurarseli per ragioni oggettive, in quanto nel caso specifico invalida.
La convivenza more uxorio cioè non determina in modo automatico il venir meno del diritto.
La vicenda si origina dalla revoca dell'assegno di divorzio disposto a favore della ex moglie e dal ricorso in appello di quest'ultima, respinto in quanto era stata accertata la nuova convivenza e quindi la costituzione di una nuova famiglia di fatto da parte della donna.
Anzitutto occorre evidenziare che le Sezioni Unite con la sentenza n. 32198/2021 avevano escluso l'applicazione analogica dell'art. 5, comma 10 L. n. 898/1970 che prevede la cessazione dell'assegno divorzile nel caso di nuove nozze del beneficiario, all'ipotesi della costituzione di una famiglia di fatto, in quanto ciò avrebbe determinato la caducazione automatica di un diritto in assenza di una piena identità di situazioni.
Dopo tale pronuncia la Cassazione torna ad occuparsi della questione dell'assegno divorzile con l'ordinanza n. 2139/2022 e con l'occasione fornisce alcune indicazioni in merito a quando possa ritenersi provata l'instaurazione della cosiddetta famiglia di fatto.
La donna, ricorre in Cassazione evidenziando innanzitutto il mancato accertamento dell'esistenza di un progetto di vita, poiché la mera coabitazione non basta ai fini della revoca dell'assegno se mancano elementi dai quali dedurre la formazione di una vera e propria famiglia di fatto.
La Cassazione ritiene inammissibile il primo motivo ed infondato il terzo in quanto relativamente al primo motivo, in sede di esame i Giudici avevano dato atto che si trattava di una stabile convivenza more uxorio, sulla base degli elementi di prova, che dimostravano ad esempio la comune dimora, l'uso della stessa vettura, la condivisione di vita e il rapporto con i relativi familiari.
Afferma la Cassazione che, il soggetto obbligato a corrispondere l'assegno può limitarsi a provare la costituzione di una nuova formazione sociale, non essendo onerato a provare l'effettiva contribuzione di ciascuno al menage familiare, che si può invece presumere dovendosi ricondurre e fondandosi sull'esistenza di obblighi di assistenza reciproci.
La Suprema Corte accoglie invece il quarto motivo dell'impugnazione e rileva che, la Corte d'Appello nel disporre la revoca dell'assegno aveva tenuto conto solo dell'esistenza della nuova stabile convivenza e non anche della condizione di invalidità ed inabilità al lavoro della donna, così facendo non considerando e soprattutto non tenendo conto della funzione solidaristica dell'assegno divorzile.
Quest'ultimo ha difatti funzione non solo assistenziale, ma, perequativa e compensativa, per cui se l'ex coniuge ha oggettivamente, nonostante la nuova convivenza, l'impossibilità di procurarsi il proprio sostentamento ed è privo di mezzi adeguati, conserva il diritto all'assegno divorzile, in presenza degli altri elementi indicati dalle Sezioni Unite