Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 18 Gennaio 2019
Categoria: Legge e Diritto

Appello della sentenza di separazione, SC: “Se proposto con citazione, occorre la tempestiva iscrizione a ruolo della causa”

Con l'ordinanza n. 403 dello scorso 10 gennaio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione – pronunciandosi sulla tempestività di un atto di appello proposto, con citazione, avverso una sentenza di separazione – ha dichiarato inammissibile l'impugnazione in quanto l'iscrizione a ruolo della causa era avvenuta oltre il termine di sei mesi previsto, a pena di decadenza, dall'art. 327 c.p.c..

Si è quindi precisato che l'appello avverso una sentenza di separazione, per ritenersi tempestivo, deve rispettare il termine stabilito dall'art. 327 c.p.c., ovvero è necessario che il ricorso, con cui si impugna la pronuncia, sia stato depositato presso la cancelleria del giudice adito entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata; nel caso in cui l'appello sia proposto con atto di citazione, ai fini della tempestività dell'impugnazione è necessario che, entro i predetti sei mesi, la causa sia iscritta a ruolo.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'appello proposto da una donna avverso la sentenza con cui il Tribunale di Firenze aveva dichiarato la separazione giudiziale dal marito.

In particolare, la decisione di prime cure veniva pubblicata il 14 ottobre 2016; la ricorrente, con atto di citazione notificato a mezzo p.e.c. ai difensori dell'uomo in data 13 aprile 2017, appellava la decisione, provvedendo, poi, ad iscrivere la causa a ruolo il 24 aprile 2017.

La Corte d'Appello di Firenze dichiarava inammissibile l'appello, poiché proposto oltre il termine, di sei mesi, legislativamente previsto dall'art. 327 c.p.c. in tema di decadenza dall'impugnazione. 

 La moglie, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 327 c.p.c.., in relazione all'art. 360 primo comma, n. 3 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte territoriale avesse dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso la decisione di prime cure, sebbene il termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione di primo grado fosse stato rispettato, mediante tempestiva notifica dell'atto di appello nel termine di cui all'art. 327 c.p.c.: a tal riguardo evidenziava come tra il giorno di pubblicazione della sentenza (14 ottobre 2016) e quello di notificazione della citazione dell'atto di appello (13 aprile 2017) non fossero trascorsi più dei canonici sei mesi previsti a pena di decadenza dall'impugnazione.

La Cassazione non condivide i rilievi sollevati dalla ricorrente.

In punto di diritto la Corte ricorda che la legge 74/1987, in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio stabilisce che la domanda è proposta con ricorso e che «l'appello è deciso in camera di consiglio»: tale locuzione va interpretata nel senso che essa postula l'applicazione del rito camerale con riferimento all'intero giudizio di impugnazione, con la conseguenza che la proposizione dell'appello si perfeziona con il deposito del relativo ricorso in cancelleria, nel termine perentorio di sei mesi – pena decadenza dall'impugnazione – di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..

La causa si incardina, quindi, con il deposito in cancelleria del ricorso; la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza costituiscono, di converso, un momento meramente esterno e successivo alla fattispecie processuale introduttiva del giudizio, funzionale soltanto per l'instaurazione del contraddittorio.

 Ciò non esclude che, in applicazione del generale principio di conservazione degli atti processuali, l'appello possa essere introdotto anche con atto di citazione (e non con ricorso), sempre se lo stesso presenti i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

In tal caso, tuttavia, resta pur sempre necessario, ai fini della tempestività dell'appello, che sia stato rispettato il termine stabilito dall'art. 327 c.p.c., ovvero che l'atto di appello sia stato depositato presso la cancelleria del giudice adito entro il termine perentorio di sei mesi: termine che – nel caso di appello proposto, erroneamente, con citazione – va valutato con riferimento al momento in cui sia avvenuta l'iscrizione a ruolo della causa.

Ciò premesso in diritto, gli Ermellini, con specifico riferimento al caso sottoposto alla loro attenzione, rilevano che la sentenza appellata era stata pubblicata il 14 ottobre 2016, l'atto di citazione in appello era stato notificato a mezzo p.e.c. ai difensori in data 13 aprile 2017 e l'iscrizione a ruolo era avvenuta solo il 24 aprile 2017, ossia tardivamente rispetto al termine di legge e ben oltre i sei mesi previsti a pena di decadenza.

Compiute queste precisazioni, la Corte evidenzia che correttamente la Corte di appello ha revocato l'ammissione della donna al gratuito patrocino disponendo, altresì, a suo carico, il pagamento del contributo unificato in misura doppia: in particolare, la sentenza in commento chiarisce che l'inammissibilità originaria del gravame proposto dalla ricorrente, poiché tardivo, con conseguente sussistenza del presupposto della colpa grave, giustifica la revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio; il carattere dilatorio e pretestuoso dell'appello rileva, invece, ai fini del versamento del doppio contributo unificato.

In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.

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