Il d.d.l. a firma del deputato del PD Emanuele Fiano propone di inserire nel codice penale il reato di propaganda del fascismo e del nazifascismo colpendo "chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità".
Sul ddl, come noto, si è registrata una durissima polemica politica. In particolare, alcune formazioni politiche, tra queste il Movimento 5 Stelle, hanno dichiarato la propria contrarietà in quanto, hanno argomentato in aula i propri parlamentari, la proposta Fiano lederebbe alcuni principi della Carta Costituzionale, a partire dalla libera manifestazione del pensiero (art. 21), mentre la stessa Carta, lungi dall´essere neutrale, proibisce e sanziona ogni condotta diretta alla ricostituzione del partito fascista e alla esaltazione e pratica dell´odio razziale, contenendo pertanto principi giudicati più che sufficienti ai fini della difesa dello Stato democratico.
Ma la proposta Fiano è o non è in linea con la Costituzione? E se questa proposta dovesse diventare legge, si esporrebbe o no ad un giudizio di incostituzionalità?
Sul punto, pubblichiamo un approfondimento della giurista sara Garreffa, che richiama precedenti della Corte Costituzionale, asserendo, in sintesi, che sulla costituzionalità della proposta Fiano esistono seri dubbi.
Il d.d.l. dell´onorevole del PD Emanuele Fiano propone di inserire nel codice penale il reato di propaganda del fascismo e del nazifascismo, teso a punire con la reclusione da sei mesi a due anni "chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità".
L´incriminazione dell´apologia del fascismo non è certo una novità. Già la legge n. 645/1952, tuttora vigente, prevede severe sanzioni penali per chiunque promuove, organizza, dirige o partecipa ad associazioni, movimenti o che perseguono finalità antidemocratiche proprie del partito fascista.
Dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della condotta apologetica accendono già da decenni il dibattito di dottrina e giurisprudenza. Affinché possa riconoscersi la cittadinanza nel nostro ordinamento di una fattispecie penale come questa, occorre escludere, infatti, la sua incompatibilità con l´art. 21 Cost. che sancisce il diritto alla libera manifestazione del pensiero.
In tal senso, si era espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 1, del 16 gennaio 1957, la quale non ravvisò un contrasto con l´art. 21 Cost., in quanto "l´apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in un´esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Cio´ significa che deve essere considerata reato non gia´ in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione".
Ebbene, è proprio alla luce delle argomentazioni addotte allora dalla Corte che sorgono dubbi in merito alla costituzionalità della proposta dell´On. Fiano.
Spiega la Corte, infatti, che il reato di apologia del fascismo tuttora vigente non contrasterebbe il diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero, giacché la norma penale incrimina non già la pura e semplice difesa elogiativa del pensiero fascista, bensì solo quell´"esaltazione tale da condurre alla riorganizzazione del partito fascista".
Dalle parole dei giudici, dunque, a rigor di logica, può dedursi che l´incriminazione della mera manifestazione del pensiero fascista, laddove non fosse tale da ricondurre alla riorganizzazione del disciolto partito, sarebbe incostituzionale. Si verificherebbe, difatti, un contrasto con il diritto alla libera manifestazione del pensiero ingiustificabile.
La ragione per cui è necessario che l´apologia abbia quell´attitudine a condurre ad una riorganizzazione del disciolto partito fascista si rintraccia in un principio caposaldo del nostro ordinamento, che deriva proprio dalla nostra Costituzione. Si tratta del principio di offensività, in virtù del quale è possibile punire con sanzioni penali solo condotte idonee ad offendere o almeno mettere in pericolo il bene giuridico tutelato, che in nel caso in esame va individuato nella stabilità dell´ordine democratico della Repubblica.
L´attitudine della condotta apologetica a condurre alla riorganizzazione del disciolto partito fascista è quindi il requisito che legittima l´incriminazione, che sembrerebbe - altrimenti - incostituzionale. Tale circostanza, tuttavia, non significa certo che si debba attendere un golpe fascista per reagire con le sanzioni penali. La legge attuale, infatti, punisce quel tipo di propaganda che sia idonea a raggruppare anche solo cinque persone (come dispone dall´art. 1).
La stabilità della nostra Democrazia, dunque, parrebbe già altamente messa al riparo dalla legge attuale. All´uopo vi è in atto, peraltro, un´anticipazione della tutela penale, costituendo l´apologia del fascismo un reato di pericolo.
L´auspicio su cui si fonda il presente contributo è a un´attenta riflessione da parte del Legislatore italiano sull´opportunità politica di comprimere il diritto alla libera manifestazione di un pensiero, seppur esecrabile.
Ad avviso di chi scrive, difatti, non c´è arma più efficace per decretare la sconfitta di un´ideologia antiliberale come quella fascista che il pieno riconoscimento dei diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione, conquista proprio della resistenza italiana.
(Fonte: Altalex, 13 luglio 2017. Articolo di Sara Garreffa)