Con la sentenza n. 32477 dello scorso 22 luglio, la IV sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo inflitta ad un medico anestesista che, trascurando i fattori di rischio di una partoriente anemica e omettendo di controllare la cartella clinica, non si attivava presso il Centro trasfusionale per ottenere una scorta di sangue, statuendo che rientrano nei principi della professione di anestesista gli obblighi di informarsi sulla storia del paziente e di gestione dell'approvvigionamento delle sacche ematiche e di provvedere alla trasfusione in caso di necessità.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale a carico di un medico anestesista, ritenuto colpevole del decesso di una partoriente, avvenuto nel corso del suo terzo parto cesareo; la paziente, affetta da obesità e con problemi di anemia, presentava la condizione di placenta percreta sicché in sala operatoria si procedeva ad isterectomia sub totale; completato l'intervento, venivano effettuate alcune trasfusioni di sangue, ma il progressivo peggioramento della condizioni cliniche della donna costringevano i sanitari a trasferirla presso il reparto di rianimazione ove decedeva a causa di uno shock emorragico.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Roma che la Corte di Appello di Roma – affermata la responsabilità principale del ginecologo che aveva seguito la paziente, oltre che al momento del parto, anche in tutte le precedenti gravidanze, così conoscendo tutti i fattori di rischio – condannavano anche l'anestesista alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi dieci di reclusione per il reato di cui all'art. 589 c.p., nonché al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.
In particolare si contestava al camice bianco di essere intervenuto nel parto cesareo, senza disporre di dati aggiornati e senza predisporre un'adeguata scorta di sangue, così trascurando i fattori di rischio sopra indicati e determinando un ritardo nella terapia trasfusionale.
Secondo i giudicanti la sua responsabilità non era elisa dal fatto che non conosceva il decorso clinico della vittima, in quanto, avendo la disponibilità della cartella clinica, il sanitario avrebbe potuto verificare la progressiva discesa dei valori dell'emoglobina e avrebbe dovuto contattare in tempo utile il Centro trasfusionale per ottenere una scorta di sangue, del tutto consentita in caso di interventi chirurgici con elevato rischio di emorragia.
La difesa del sanitario, ricorrendo in Cassazione, censurava la sentenza impugnata, rilevando di non aver violato nessuna regola di comportamento, in quanto non disponeva di dati aggiornati e non era stata posta nelle condizioni di conoscere gli asseriti rischi e di valutarli; deduceva, inoltre, come non era suo onere predisporre la scorta di sangue e che il ritardo nella trasfusione era ascrivibile ad ulteriori figure professionali.
La Cassazione non condivide le censure formulate dall'imputato.
La Corte – soffermandosi sulla responsabilità dell'anestesista che ometta di effettuare i dovuti controlli affidandosi sulle indicazioni ricevute da altri sanitari – ribadisce la validità del principio secondo cui l'anestesista, per la spiccata autonomia riconosciutale in virtù della sua posizione, non può affidarsi esclusivamente all'operato degli altri sanitari e, in particolare, contare sull'esperienza e sulle indicazioni dei medici di base: difatti, in caso di condotte colpose indipendenti, non può invocare il principio di affidamento l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità.
Sul punto, gli Ermellini rilevano come, nel caso di specie, il sanitario avrebbe dovuto controllare accuratamente la cartella clinica, segnalando carenze ed errori inerenti a dati significativi (quali, ad esempio, l'insufficiente anamnesi) e, in caso di accertate lacune, avrebbe dovuto comunque adottare tutte le precauzioni del caso.
Ad esonerarlo da responsabilità non rilevano, infatti, le ulteriori circostanze prospettate, relative alla conoscenza della paziente la sola mattina dell'intervento nonché alle carenze ed omissioni del ginecologo e della struttura ospedaliera circa l'assenza di una scorta di sangue: l'espletamento dei dovuti controlli avrebbe consentito di scoprire le omissioni e di predisporre per tempo il provvigionamento delle sacche, posto che rientrano nei principi della professione di anestesista gli obblighi di informarsi sulla storia del paziente e di gestione dell'approvvigionamento delle sacche ematiche e di provvedere alla trasfusione in caso di necessità.
La Corte di merito ha, quindi, valutato correttamente l'incidenza del ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto: si è ritenuto, infatti, sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva dell'anestesista e la morte della paziente, già anemica, causata proprio ad uno shock emorragico.
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.