Con la sentenza della Corte di Cassazione n.30277/2020, la Sezione VI ha risolto la questione controversa in merito alla configurabilità, o meno, del reato di peculato nel caso di omesso versamento dell'imposta.
Nel periodo antecedente all'epidemia da COVID-19, un albergatore di una struttura aveva omesso di versare nelle casse comunali, l'imposta di soggiorno; successivamente, per questo motivo, era stato condannato per il reato di peculato ex art. 314 c.p..
Per quanto riguarda l'imposta di soggiorno, è bene ricordare che questa fu soppressa nel 1989, ma successivamente reintrodotta dall'art. 4, co. 1, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante "Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale". Si tratta quindi di un'imposta comunale, istituita dal singolo ente locale, gravante su coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. L'imposta viene, perciò, riscossa direttamente dai gestori delle strutture ricettive. Il gestore avrebbe assunto la veste di sostituto d'imposta, unicamente a quella di responsabile del versamento, ossia un agente contabile che maneggia denaro pubblico ed è tenuto a riversarlo nelle casse dell'ente pubblico.
A fondamento dell'orientamento si pongono la qualifica di incaricato di pubblico servizio rivestita dall'albergatore e la proprietà pubblica del denaro del quale il gestore della struttura ricettiva si appropria; su tali presupposti si verificherebbe quell'interversione del possesso che connota il reato di peculato.
Altri orientamenti della Corte hanno fatto proprio l'insegnamento della sentenza Tuzet, in cui la Corte ha stabilito, nell'ambito di una vicenda relativa all'esercizio dell'attività venatoria nei parchi, che la riperimetrazione della riserva naturale ad opera di un provvedimento amministrativo della regione Sicilia avesse eliminato l'originario disvalore penale del fatto.
A seguito del decreto rilancio sono pertanto venute meno, tanto la qualifica di incaricato di pubblico servizio del soggetto attivo, quanto la natura pubblica dell'oggetto materiale del reato, con inevitabile ricaduta sul disvalore della condotta. Autorevole dottrina ha infatti sottolineato che il concetto di "fatto" non può assumere il medesimo significato tanto nel primo che nel secondo comma dell'art. 2: cioè se nell'ipotesi di nuova incriminazione (art. 2, comma 1°) il concetto di fatto ricomprende tutto l'insieme dei presupposti rilevanti in concreto ai fini dell'applicazione della fattispecie incriminatrice, non si comprende per quale ragione lo stesso concetto non debba valere rispetto alle ipotesi di abolizione di incriminazione preesistente (art. 2, comma 2°): è evidente allora che l'intervento legislativo posteriore, incidendo su uno dei presupposti di rilevanza del fatto necessario ai fini della configurabiltà dell'illecito, fa sì che esso non costituisca più reato e non possa dunque più essere punito.
La ratio della nuova disposizione è sicuramente quella di ristorare i Comuni rispetto alla riduzione del gettito derivante dal mancato versamento dell'imposta di soggiorno e, allo stesso tempo, di aiutare gli albergatori in difficoltà a causa dell'adozione delle misure di contenimento per il COVID- 19.
In definitiva, con la sentenza della Cassazione Sez.VI n. 30277/2020, è mutato l'assetto giuridico del reato precedentemente commesso dall'albergatore, ispirandosi a finalità di tutela della categoria e facendo espresso richiamo a sanzioni di carattere non penale, ossia un illecito amministrativo, realizzando una vera e propria abolitio criminis.