La I sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi sulla domanda di una mamma che voleva l'affidamento esclusivo del proprio figlio in ragione dell'allontanamento del padre, trasferitosi definitivamente l'estero – ha statuito che "anche nel caso di un genitore residente all'estero, l'affidamento condiviso dei figli a entrambi i genitori è la regola da seguire, a meno di circostanze talmente gravi che possano mettere in pericolo il benessere e lo sviluppo psico fisico del minore".
Sul merito della vicenda si era pronunciato inizialmente il Tribunale di Roma il quale disponeva l'affidamento esclusivo del figlio alla madre perché, sebbene non fosse emersa una incapacità genitoriale del padre, quest'ultimo aveva trasferito la sua residenza a Bruxelles, ivi impegnato anche nelle personali attività lavorative.
La Corte d'Appello di Roma disponeva l'affido condiviso del figlio con collocamento privilegiato del fanciullo presso la madre e diritto di visita del padre, attribuendo l'esercizio della responsabilità genitoriale in forma congiunta per le questioni di maggior interesse per la vita del minore ed in forma disgiunta, secondo i tempi di permanenza presso ciascun genitore, per le questioni di ordinaria gestione.
Contro siffatto decreto, proponeva ricorso per Cassazione la madre,denunciando violazione degli artt. 155, 316 e 317 c.c., perché, in riforma della decisione di primo grado, era stato disposto l'affido condiviso del minore in luogo dell'affido esclusivo a favore della madre: secondo quest'ultima la Corte non aveva considerato il supremo interesse del minore, né aveva compiuto accertamenti sulla capacità genitoriale dell'uomo, omettendo espressamente di valutare talune circostanze ( quali l'inadeguatezza genitoriale in capo al padre e la sua residenza all'estero) che, se adeguatamente considerate, avrebbero portato all'adozione dell'affido esclusivo.
La Cassazione, con la pronuncia in commento (sentenza n. 6535 dello scorso 6 marzo 2019) non condivide i rilievi sollevati dalla ricorrente.
Gli Ermellini evidenziano che l'affidamento condiviso è da ritenersi il regime ordinario, anche nel caso in cui i genitori abbiano cessato il rapporto di convivenza: secondo la giurisprudenza maggioritaria (Cass. n. 24526/2010) a tale regime può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore, e che l'affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento precisa come la Corte di appello abbia ampiamente motivato in merito all'idoneità genitoriale del padre, sia richiamando i fondamenti normativi e giurisprudenziali, nazionali ed Europei, in merito alla necessaria effettività del diritto di un genitore e del figlio a mantenere la relazione, sia rimarcando l'assiduità dell'uomo nel garantire al minore ed a se stesso il godimento dei tempi di visita concessi, pur affrontando il disagio del viaggio: in relazione a questo specifico aspetto, l'assiduità del padre nell'esercizio del diritto di visita, non solo esclude un suo inadempimento, ma, al contrario, comprova la capacità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente.
In conclusione, la Corte ritiene che la sentenza impugnata abbia valutato adeguatamente sia l'idoneità genitoriale sia l'interesse del minore e che, di contro, le censure sollevate dalla madre, lungi dall'introdurre fatti decisivi, inammissibilmente vorrebbero sollecitare un'adesione alla negativa valutazione che la madre nutre verso le modalità con cui il padre gestisce i tempi di frequentazione del figlio a sua disposizione. Il ricorso viene pertanto rigettato, con compensazione delle spese di giudizio.