Di Rosalia Ruggieri su Mercoledì, 15 Gennaio 2025
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Affida mobili dell’ex marito ad un antiquario, Cassazione: “E’ appropriazione indebita”

Con la sentenza n. 47057 dello scorso 20 dicembre, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per appropriazione indebita inflitta ad una donna che asportava dalla casa coniugale oggetti di pregio appartenenti al suo ex coniuge per poi affidarli per la vendita ad un antiquario.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una donna che, avendo il possesso di oggetti di pregio appartenenti al suo ex coniuge, in quanto costituenti parte dell'arredamento di quella che era stata la loro casa coniugale, li asportava dalla casa coniugale per affidarli per la vendita ad un antiquario.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Ragusa che la Corte di appello di Catania condannavano la donna alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti dell'ex marito in relazione al reato di appropriazione indebita.

Dalle emergenze processuali era infatti emerso come le parti divorziarono nel 2015 e, nel corso di quel giudizio, la persona offesa non rivolse mai all'ex moglie una espressa e specifica diffida alla restituzione dei beni in oggetto, venendo rigettata dal Tribunale civile di Ragusa la domanda restitutoria, tenuto conto che i beni erano a corredo della casa coniugale.

 Solo successivamente il marito intraprese una causa civile per la restituzione dei beni ma, anche in quel giudizio, non si era mai fatta questione in ordine alla proprietà dei beni mobili, pacificamente riconducibili al marito ma il cui possesso, all'esito del giudizio civile, era stato attribuito alla moglie in quanto si trattava di oggetti facenti parte della casa coniugale a lei in un primo momento assegnata.

Ricorrendo in Cassazione, la donna eccepiva violazione di legge e vizio della motivazione per non avere la Corte rilevato la tardività della querela.

A sostegno di tale eccezione, la ricorrente evidenziava come nel 2009 era stato instaurato il giudizio per la separazione personale, all'interno del quale il marito, una volta abbandonata la casa coniugale senza mai più riprendere la convivenza, aveva rivendicato la proprietà dei beni mobili della cui indebita appropriazione si discuteva, chiedendoli in restituzione alla ricorrente senza successo; ne derivava che, sin dal 2009, la persona offesa era consapevole dell'intenzione della moglie di non restituirle i beni, espressamente manifestata con il suo comportamento, tanto da avere intrapreso una causa civile anche a questo scopo. Pertanto, la querela, sporta solo nel 2017, dopo il rigetto della domanda civile, doveva considerarsi tardiva.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini danno atto come, dalle emergenze processuali, correttamente valorizzate dalla sentenza impugnata, fosse emerso che la linea difensiva adottata dalla ricorrente durante il corso del giudizio civile non aveva avuto lo scopo di appropriarsi di cose di proprietà altrui, bensì di mantenerne il possesso in attesa dell'esito del giudizio, comportamento fino a quel momento penalmente irrilevante che, in quanto tale, non poteva generare alcuna velleità di punizione in capo alla parte civile da veicolare attraverso una querela.

Al contrario, dopo due anni dal divorzio, nell'estate del 2017, la ricorrente compiva il primo e decisivo atto di appropriazione indebita dei beni mobili di proprietà dell'ex marito, asportandoli dalla casa coniugale ed affidandoli per la vendita ad un antiquario.

Di tale circostanza, la persona offesa aveva avuto contezza solo nel mese di agosto del 2017, sicché la querela, sporta il 16 agosto 2017, era da considerarsi tempestiva.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. 

Messaggi correlati