Con l'ordinanza n. 24790 depositata il 3 ottobre, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha revocato lo stato di adottabilità di un minore, ordinando il suo reintegro nella famiglia d'origine. A sostegno della decisione, gli Ermellini hanno evidenziato come, sebbene il bambino si fosse affezionato alla famiglia affidataria, cionondimeno erano da ritenersi fondamentali i progressi compiuti dal padre, che non solo aveva superato le problematiche legate a uno stile di vita trasgressivo, dedito all'uso di droghe e alcool, ma aveva anche manifestato piena disponibilità a supportare il figlio.
Si è quindi precisato che il prioritario e fondamentale diritto del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia, impone un particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato solo in caso di extrema ratio.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso proposto dalla Procura della Repubblica affinché fosse dichiarato lo stato di adottabilità di un bambino.
L'istanza traeva origine dal comportamento dei genitori, incapaci di esercitare la funzione genitoriale sia per le condotte abusanti, che per il disinteresse dimostrato per le esigenze di equilibrato sviluppo del figlio: la mamma, infatti, consumava stupefacenti e abusava di alcool, senza seguire le indicazioni fornite; il padre, anche con riferimento ai figli nati da precedenti relazioni, era del tutto incapace di occuparsi dei piccoli.
Alla luce di tanto, il Tribunale dei minori di Brescia dichiarava lo stato di adottabilità del minore, sospendeva la responsabilità dei genitori, disponendo il collocamento del minore presso una coppia in lista d'attesa per l'adozione nazionale, con sospensione dei rapporti tra il bambino e tutti i parenti.
La decisione veniva ribaltata dalla Corte di Appello di Brescia che revocava la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, osservando come dalla c.t.u. fosse emerso che il padre del bambino avesse acquisito adeguata capacità genitoriale, registrando un rilevante miglioramento delle relative funzioni rispetto a quanto accertato in primo grado: dovevano, pertanto, ritenersi del tutte superate le criticità pregresse legate allo stile di vita trasgressivo, all'uso di stupefacenti e all'abuso di alcool.
Avverso la decisione, proponeva ricorso per Cassazione il tutore del minore evidenziando come la decisione impugnata avesse motivato contraddittoriamente in ordine alle capacità genitoriali del padre, senza tener conto di quanto esposto dal c.t.u. riguardo ai rischi per il bambino rappresentati dall'abbandono della famiglia collocataria.
La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.
La Corte evidenzia come le doglianze prospettate implichino una valutazione che predica il bilanciamento di due contrapposti- e per certi versi incompatibili-diritti, cioè quello del genitore che intenda esercitare la sua capacità genitoriale e il diritto alla continuità affettiva con la nuova famiglia affidataria di cui è titolare il minore.
In punto di diritto gli Ermellini evidenziano come in tema di adozione, l'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario - considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico - e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare.
Ne deriva che il prioritario e fondamentale diritto del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi
genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia, impone un particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato solo in caso di extrema ratio, ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono o quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte d'appello ha accertato come, in primo grado, lo stato di adottabilità veniva ancorato all'assoluta inidoneità del padre a farsi carico delle esigenze educative e di crescita del minore, a causa di uno stile di vita improntato a trasgressività e all'abuso di alcol e stupefacenti; tale situazione, tuttavia, non era più attuale già alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, allorquando il padre iniziava a manifestare una buona condizione di adattamento psicosociale con evidente miglioramento delle sue funzioni, con indiscutibile progresso rispetto alle condizioni valutate in primo grado.
Alla luce di tanto, la sentenza impugnata – pur dando atto delle inevitabili conseguenze del rientro del minore presso la famiglia d'origine, abbandonando i soggetti cui era stato affidato, e presso i quali si era inserito positivamente – ha nondimeno fondato la propria decisione sull'avvenuto recupero delle capacità genitoriali del padre, escludendo la necessità di recidere il legame del minore con la sua famiglia d'origine, dato il carattere di estremo rimedio della dichiarazione di adottabilità, per quanto sopra esposto.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.