Con la pronuncia n. 19847, la II sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi degli accordi presi dai coniugi nel corso della separazione, ha statuito che la domanda di divisione dell'immobile in comproprietà costituente l'abitazione familiare dei coniugi, concessa in godimento alla prole per patto intercorso in sede di separazione consensuale, va comunque proposta nelle forme ordinarie del giudizio di scioglimento della comunione, e non secondo la disciplina dell'art. 710 c.p.c., considerato che detta domanda attiene al regime della proprietà e non presenta dirette connessioni od interferenze sulle condizioni della separazione".
Nel corso di un giudizio per separazione, una coppia di coniugi addiveniva ad un accordo consensuale il quale prevedeva, tra le altre cose, la comproprietà "pro indiviso" di un immobile ove il marito avrebbe fissato la propria residenza con il figlio e l'impegno del coniuge a riconoscere, in favore della moglie, il diritto di usufrutto su un altro immobile in comproprietà sito a Trento.
Stante l'inadempimento dell'uomo in relazione alla costituzione del diritto di usufrutto a favore dell'ex moglie, quest'ultima adiva il Tribunale di Trento affinché venisse dichiarato con sentenza l'usufrutto in suo favore e si procedesse alla divisione dell'altro immobile, del quale in sede di separazione era stata concordata la comproprietà "pro indiviso", con condanna del marito al versamento di un indennizzo per l'uso esclusivo del bene.
Quest'ultimo si costituiva eccependo preliminarmente l'improcedibilità della domanda, sul presupposto che per la modifica dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale fosse necessario procedere nelle forme di cui all'art. 710 c.p.c..
Il Tribunale, accogliendo le domande della donna, costituiva ex art. 2932 c.c., diritto di usufrutto in suo favore e disponeva la divisione dell'altro immobile in comproprietà tra i coniugi.
La Corte d'Appello di Trento – adita dal marito che ribadiva l'improcedibilità di una domanda, quale quella formulata dall'ex moglie, volta ad ottenere con un rito ordinario le modifiche dei patti inerenti alle condizioni della separazione – respingeva il gravame, argomentando che la donna ben poteva avanzare autonome domande di divisione e richiesta di usufrutto, essendo state le stesse condizioni di separazione a prevedere l'intestazione per quote indivise di un immobile e la costituzione dell'usufrutto sull'altro.
Avverso tale sentenza, il marito proponeva ricorso per Cassazione, dolendosi per il mancato accoglimento, da parte della Corte di merito, della sua eccezione volta a dichiarare improcedibile le domande avanzate dall'ex moglie, dovendo le stesse essere proposte necessariamente con il rito previsto dall'art. 710 c.p.c.
Con specifico riguardo alla domanda volta alla divisione dell'immobile, l'uomo sosteneva che la Corte d'appello non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che gli accordi di separazione prevedevano che la quota ideale della donna su quell'immobile fosse destinata al godimento da parte del figlio, e dunque in sostanza attribuivano la disponibilità dell'intero immobile al ricorrente ed al predetto figlio con lui convivente: alla luce di tanto, secondo il ricorrente, la divisione dell'immobile in natura avrebbe comportato una modifica di tale assetto, e perciò doveva andare soggetta alla disciplina di cui all'art. 710 c.p.c..
La Cassazione non condivide i rilievi sollevati dal ricorrente.
Gli Ermellini richiamano il consolidato orientamento della propria giurisprudenza, secondo cui la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento e l'assegnazione della casa familiare, ove ne ricorrano i presupposti - ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata.
Corollario di tale premessa è che gli accordi suscettibili di modifica in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c sono solo quelli che trovano la loro causa e fonte essenziale nella separazione personale, laddove i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c., devono essere fatti valere secondo le ordinarie regole stabilite dal codice.
In relazione al caso sottoposto alla sua cognizione, la Cassazione evidenzia che rientrano a pieno titolo nell'ambito dei patti autonomi sia il riconoscimento della comproprietà della casa familiare con l'attribuzione di un diritto d'uso in favore del figlio, sia la promessa di costituzione di un diritto di usufrutto: ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c..
In particolare, la domanda di divisione dell'immobile in comproprietà costituente l'abitazione familiare dei coniugi, concessa in godimento alla prole per patto intercorso in sede di separazione consensuale, va comunque proposta nelle forme ordinarie del giudizio di scioglimento della comunione, e non secondo la disciplina dell'art. 710 c.p.c., considerato che detta domanda attiene al regime della proprietà e non presenta dirette connessioni od interferenze sulle condizioni della separazione.
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.