Di Redazione su Martedì, 07 Febbraio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Quando il licenziamento è una ritorsione: Cassazione delinea confini e condizioni

Un dipendente del Gruppo Gucci pubblica in chat Facebook una immagine con un coperchio di vasellina e sopra un disegno ed il marchio "Gucci": satira o fatto illecito ? La società opta per il secondo è lo licenzia. E il giudice ?

Sull´argomento si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza n. 2499 del 2017 depositata in data 31 gennaio.
Gli Ermellini hanno avuto modo di precisare che per potersi palesare la fattispecie di licenziamento ritorsivo devono ricorrere degli elementi precisi inerenti soprattutto all´aspetto volitivo in capo al datore di lavoro.

Antefatto

Con ricorso al Tribunale di Firenze S.C. impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla società LUXURY GOODS OUTLET srl - facente parte della divisione Guccio Gucci spa - per avere gravemente offeso l´immagine dell´azienda pubblicando su una chat privata del social network Fecebook, una immagine raffigurante un coperchio di vasellina cui era sovrapposto un disegno ed il marchio "Gucci".
il Tribunale rigettava la opposizione proposta dalla società LUXURY srl, ritenendo la fattispecie riconducibile all´ipotesi di insussistenza del fatto disciplinare, ex articolo 18 co. 4 L. 300/1970, per essere stato esercitato il diritto di critica e di satira.
La Corte di Appello di Firenze, rigettava successivamente il reclamo della società e dichiarava la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo applicando il comma 1 dell´articolo 18.
Per la Cassazione della sentenza ricorreva LUXURY srl.
Resisteva con controricorso S.C.

Motivi della decisione

I Giudici Supremi sottolineano come il licenziamento ritorsivo ricade nella disciplina dell´articolo 1345 cc. sicché il relativo giudizio consta di due accertamenti:
-il motivo di ritorsione (motivo illecito);
-la assenza di altre ragioni lecite determinanti (esclusività del motivo).
Ambedue gli accertamenti involgono un giudizio di fatto, in quanto teso a ricostruire la volontà del datore di lavoro: ne consegue che in sede di legittimità tale giudizio è censurabile nei limiti di cui all´articolo 360 nr. 5 cpc.
Nella fattispecie si applica ratione temporis il vigente testo del suddetto articolo 360 nr. 5 cpc sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.
La denunzia non coglie alcun fatto non esaminato in sentenza giacché il giudice del merito ha considerato la potenziale lesione dell´immagine aziendale derivata dalla condotta contestata, che ha escluso argomentando sulla limitata diffusione della vignetta (tra i dieci partecipanti alla chat) e sulla assenza di prova di una sua divulgazione all´esterno dell´ambiente di lavoro.
Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dal nuovo testo dell´articolo 360 nr. 5 cpc resta invece estranea - ha affermato il Collegio - la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice.
Per le stesse ragioni anche la censura sul difetto di prova dell´intento ritorsivo non è sussumibile nella ipotesi dell´articolo 360 nr. 5 cpc, risolvendosi, piuttosto che nella allegazione di un fatto non esaminato, nella deduzione di una insufficienza della motivazione.
Ciò detto la Corte ha rigettato il ricorso.
Si allega sentenza.



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