Con la pronuncia n. 342 dello scorso 7 gennaio 2019, la III sezione della Corte di Cassazione, non ha applicato nessun sconto di pena ad un uomo che aveva compiuto abusi sulla nipote, considerando la condotta di estrema gravità oggettiva per la prolungata estensione temporale delle molestie sessuali, per l'esistenza di un rapporto fiduciario che legava la giovanissima ragazza al suo carnefice e per le serie conseguenze psichiche subite dalla vittima; di contro non è stata attribuita rilevanza all'assenza di un rapporto completo con penetrazione, posto che "il reato di violenza sessuale è consumato quando la condotta violenta dell'agente abbia determinato un'evidente e concreta invasione della sfera intima della vittima, costretta a subire i toccamenti lascivi dell'aggressore, nel frattempo denudatosi, e il contatto ravvicinato con i suoi organi genitali, a nulla rilevando la brevità della relazione corporea tra agente e vittima e la mancata penetrazione e soddisfazione erotica dell'aggressore, impedita solo dalla reazione disperata della vittima".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art. 609 bis c.p., per avere ripetutamente costretto una ragazzina a subire atti sessuali nel corso degli anni, abusando dell'autorità connessa all'essere il compagno della nonna della minore e utilizzando violenza, consistita, talvolta, nell'agire in modo repentino e insidioso e, in altre occasioni, nel trattenerla e nell'afferrarle con forza le mani al fine di farsi toccare.
Il Tribunale di Milano condannava l'imputato a 6 anni e 4 mesi di reclusione; la Corte di Appello di Milano rideterminava la pena di anni 3, mesi 7 e giorni 10 di reclusione in quanto, riconosciute le attenuanti generiche, elideva gli aumenti di pena stabiliti per le aggravanti; precisava, tuttavia, che che la pena base di anni 5 e mesi 3 di reclusione, appena superiore al minimo edittale, doveva ritenersi "davvero benevola", stante l'intensità del dolo, la progressiva frustrazione della libertà sessuale della minore e le sofferenze alla stessa cagionate.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo si doleva perché non era stata riconosciuta l'attenuante della minore gravità, sebbene alcuni fatti fossero totalmente privi di connotazioni sessuali e perché, a suo dire, non si poteva parlare di violenza consumata – ma semmai di tentativo di violenza – in quanto non vi era stato alcun contatto tra l'imputato e le zone intime della persona offesa.
La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente, ritenendole manifestamente infondate.
La Corte nega qualsiasi richiesta volta a rideterminare la pena in quanto non ravvisa alcun motivo per cui, a fronte di una vicenda oggettivamente grave sia per la prolungata estensione temporale delle molestie sessuali, sia per la giovane età della vittima, sia per il rapporto fiduciario che legava la ragazza al compagno della nonna, sia per le serie conseguenze psichiche subite dalla vittima, il trattamento sanzionatorio debba essere ancor più mite di quello già ridimensionato dalla Corte d'Appello.
In particolare, in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata della minore gravità, la Corte rimarca come, per giurisprudenza pacifica, tale ipotesi va vagliata a seguito di un giudizio globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto.
Nel caso di specie è da escludersi che la capacità di autodeterminazione della vittima sia stata lievemente compromessa: l'imputato, infatti, ha agito in un crescendo di abusi e violazioni della libertà sessuale della persona offesa e, da "nonno acquisito" si è trasformato ben presto in aggressore, passando dalle originarie carezze sulla schiena, che la minore riteneva gesti di affetto, ai palpeggiamenti sotto ai vestiti e ai gesti di autoerotismo, sempre rifiutati dalla vittima.
In tale contesto, si sono espletati gli abusi, volti anche ad ottenere un rapporto sessuale con penetrazione, senza mai riuscirci a causa delle difese messe in atto dalla piccola vittima.
In relazione a tali "tentativi" gli Ermellini specificano come gli episodi contestati integrano a pieno titolo il reato di violenza sessuale, senza rimanere arretrati allo stadio del tentativo posto che l'accertamento del discrimine tra fattispecie tentata e consumata scaturisce da una valutazione riferita non solo alle parti anatomiche attinte, ma all'intero contesto in cui si è dispiegata la relazione intersoggettiva tra agente e vittima e al livello di intrusione della sfera sessuale di quest'ultima.
Nel caso di specie, la condotta violenta aveva determinato un'evidente e concreta invasione della sfera intima della minore, costretta a subire i toccamenti lascivi dell'imputato e il contatto ravvicinato con i suoi organi genitali, a nulla rilevando la brevità della relazione corporea tra agente e vittima, che era stata impedita solo dalla mancata penetrazione.
In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.