Di Redazione su Mercoledì, 31 Maggio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Ambiente lavorativo insalubre, Cassazione precisa condizioni per risarcimento

Per condannare il datore di lavoro ad un risarcimento del danno al proprio dipendente a causa dell´ambiente insalubre nel quale questo è tenuto a operare, occorre la puntuale dimostrazione del nesso di causalità tra la insalubrità del luogo e la patologia accusata dal dipendente. In mancanza di tale prova il datore di lavoro non è tenuto al risarcimento del danno.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 13459 depositata il 29 Maggio.
Un´impiegata di banca proponeva ricorso impugnando la sentenza con la quale il Giudice del Lavoro di Roma, aveva respinto la sua domanda, volta ad ottenere dalla banca presso cui lavorava, il risarcimento del danno biologico e morale subito a causa della malattia (bronco-pneumopatia cronica ostruttiva), contratta per effetto della insalubrità dell´ambiente di lavoro.
Anche in sede d´appello, il giudice si affidava alla relazione del medico legale, secondo cui i "fattori ambientali" non erano tali da poter provocare la "bronco-pneumopatia" che aveva colpito la lavoratrice, pur essendo certi i problemi all´ impianto di condizionamento ed alla loro cattiva manutenzione.
Lamentava la dipendente, presso la Cassazione, la legittimità del controllo operato in appello. In questa sede infatti, il giudice aveva affidato ad un medico il compito di valutare la funzionalità dell´impianto di aria condizionata. Se bene la donna poteva infatti capire come spettasse a un medico conoscere le cause scatenanti una patologia, meno facilmente le risultava comprendere come lo stesso potesse essere attendibile nel valutare se il cattivo funzionamento di un impianto si fosse verificato per difetto di manutenzione.
Secondo la Corte, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell´assicurato, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio possono essere contestate, in sede di legittimità, se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che in quanto tali, costituiscono un vero e proprio vizio della logica medico-legale, rientrando così tra i vizi deducibili con il ricorso per Cassazione ex art. 360, n 5, del Codice di Procedura Civile. In mancanza di detti elementi, le censure, configurando un mero dissenso diagnostico, in sede di legittimità sono inammissibili.
Nel caso di specie, dunque, non è ravvisabile alcun vizio ex art. 360 n 5, dato che la motivazione della sentenza d´appello, risulta più che sufficiente, effettiva e non apparente.
Per i giudici della Cassazione è pertanto centrale la perizia del consulente riguardante le preesistenti patologie dell´apparato respiratorio che la donna aveva contratto molti anni prima, nonchè il breve periodo di esposizione ( di soli tre mesi)al condizionatore non funzionante; ritenendo inoltre escluso ogni nesso tra la patologia e l´insalubrità dell´ambiente lavorativo, pur non essendo correttamente effettuata la manutenzione sull´ impianto, ciò non poteva incidere sulla comparsa della malattia della lavoratrice.
Proposto in questi termini, il ricorso veniva respinto perchè inammissibile.
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