Di Redazione su Domenica, 23 Giugno 2019
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Il nascente è un "essere vivo la cui uccisione costituisce omicidio". La sentenza della SC irrompe nel dibattito sulla vita umana

Una sentenza della quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, la numero 27539/2019. Un numero identificativo apparentemente anonimo, considerato tra l'altro che questa pronuncia non era tra quelle particolarmente attese, o precedute da un dibattito mediatico come tante altre. Eppure, questa sentenza, di appena cinque paginette, potrebbe esercitare una qualche influenza nel dibattito politico e culturale enunciando il principio alla cui stregua l'ostetrica che, a causa del proprio comportamento colpevole, determina la morte del feto in concomitanza al travaglio della madre,  non risponde del reato di aborto colposo ma di quello di omicidio colposo. Ciò in quanto il "nascente", almeno durante il travaglio, è una persona umana ed in quanto tale pienamente tutelata dall'ordinamento giuridico e dalla legge penale nella fattispecie. Una condanna a nove mesi di reclusione, pertanto, all'operatrice sanitaria, ritenuta colpevole di non aver monitorato con l'attenzione che sarebbe stata necessaria nella circostanza il battito cardiaco e di aver somministrato alla madre l'ossitocina per aumentare le contrazioni.

Una pronuncia che ha sorpreso molti ma che, ricorda la Suprema Corte di cassazione, altro non è che necessitata alla luce  dell'iter evolutivo della giurisprudenza, soprattutto comunitaria, che, con i propri ultimi arresti  ha inteso connotarsi nel senso «di totale ampliamento della tutela dei diritti della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all'embrione». 

Rilevante, inoltre, il disposto dell'articolo 578 del Codice penale sull'infanticidio che punisce per omicidio la madre che «cagiona la morte del figlio, immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto».

Secondo quanto riferito in sentenza, una signora era stata ricoverata a causa della rottura del sacco amniotico e poi sottoposta a un tracciato cardlotocografico, in esito al quale il medico rilevava l'assenza di contrazioni e di dilatazione del collo dell'utero. Successivamente  era sottoposta a un secondo tracciato, e presentava un travaglio che, a giudizio dell'ostetrica, era connotato la lentezza dato che la dilatazione del collo del!'utero presentava parametri limitati. Infine, trasferita in sala parto, come suggerito dall'ostetrica, le veniva praticata anestesia epidurale per i dolori sopraggiunti. Quindi, il medico sollecitava l'ostetrica a praticare un nuovo esame cardiotograficco e, a causa di problematiche insorte il ginecologo praticava la manovra di Kristeller e, dopo tre spinte espulsive, il feto era estratto dall'ostetrica e affidato alle cure del pediatra e dell'anestesista rianimatore, che constatava l'assenza di battito cardiaco, della respirazione, di riflessi e di movimenti. Secondo l'espletata ctu, il feto non aveva mai respirato ed era nato morto per asfissia perinatale.

La Cassazione nella sentenza ricorda i punti messi in evidenza dalla Corte di Appello:

"a) l'assenza di una tempestiva rilevazione della sofferenza asfittica, circostanza che avrebbe imposto di accelerare al massimo la fase espulsiva e l'estrazione del feto;
b) il mancato espletamento dei necessari monitoraggi cardiotocografici, soprattutto in corrispondenza delle maggiori contrazioni provocate dalla somministrazione dell'ossitocina;
c) la scorretta esecuzione del secondo e del terzo tracciato (errore tecnico nel posizionamento delle fasce del tocodinamometro);
d) il rilievo per cui la mancata o scorretta esecuzione dei tracciati non consentiva la rilevazione del battito cardiaco nel periodo in cui il feto stava mettendo in atto i meccanismi di compenso, precludendo così a possibilità di intervenire scongiurando la morte del feto mediante un taglio cesareo o la ventosa ostetrica (qualora la testa del bambino fosse già profondamente impegnata nel bacino materno);
e) le erronee rassicurazioni formulate al ginecologo sul regolare andamento del travaglio da parte dell'ostetrica nonostante la prosecuzione della sofferenza fetale per non meno di 30 minuti;
f) l'impossibilità di riversare le responsabilità a carico di altri soggetti presenti in sala parto".

"Nel caso di specie la sentenza impugnata, con congruo ed esauriente apparato argomentativo, ha quindi evidenziato che l'ostetrica, in conseguenza degli errori e delle omissioni precedenti commessi in violazione dei propri doveri istituzionali, non aveva sollecitato l'attenzione del medico, il quale, se avesse conosciuto tempestivamente la situazione di sofferenza fetale, sarebbe potuto intervenire tempestivamente, scongiurando il verificarsi dell'evento letale.

Quindi "nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione".

"Relativamente al trattamento sanzionatorio va osservato che la determinazione della misura della pena tra Il minimo e Il massimo rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve Il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Tale Ipotesi non ricorre nella fattispecie, laddove la commisurazione della pena è stata correttamente giustificata in riferimento alla complessiva negativa valutazione della vicenda criminosa e della personalità dell'imputata".

"Deve altresì essere considerata legittima la valutazione incidentale negativa sulla condotta di falsificazione della cartella clinica, a prescindere dal mancato specifico accertamento giudiziale della responsabilità in relazione a tale episodio. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali"

Il passaggio centrale è quello in cui la Suprema Corte ha ricordato  che il nascente è «un essere vivo la sua uccisione volontaria costituisce omicidio o feticidio, qualunque sia stata la durata della gestazione» mentre, in una fase per così dire cronologica anteriore, «la vita del prodotto del concepimento è tutelata da un altro reato: il procurato aborto». Sul piano logico, si tratta di un enunciato ineccepibile. Ma non sussiste alcun dubbio sul fatto che tutto si gioca in quei pochi secondi che segnano il passaggio dalla fase del travaglio a quella, appunto, della nascita. Secondi che possono valere un cambio di rotta di immani proporzioni, che, hanno osservato in tanti in questi due giorni, potrebbe preludere a conseguenze ancora inimmaginabili.