Fonti: https://www.codicedeontologico-cnf.it/
L'avvocato in proprio e non come difensore di terzi può ricevere o mettersi in contatto diretto con la controparte sebbene essa sia assistita da altro legale? E qual è il limite di compatibilità delle esternazioni verbali che il professionista non dovrebbe mai oltrepassare? Ebbene questi dubbi sono stati sciolti dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 134 del 5 luglio 2023.
Analizziamo i fatti portati all'attenzione del Consiglio.
I fatti del procedimento
La vicenda portata all'attenzione del Consiglio riguarda un avvocato sottoposto a procedimento disciplinare in quanto, agendo in proprio nella causa di separazione da sua moglie, sebbene sapesse che quest'ultima fosse assistita da altro difensore, ha pensato di poter raggiungere un accordo di separazione con la moglie all'insaputa del legale di quest'ultima.
Nel corso dell'istruttoria sono emersi anche altri comportamenti deontologicamente scorretti da parte dell'avvocato. Infatti
- l'avvocato della moglie dell'incolpato ha dichiarato di non aver mai avuto riscontro alle email inviate all'incolpato, di non aver avuto notizie dalla cliente circa l'accordo genitoriale dalla stessa sottoscritto, di non essere stato informato dall'incolpato su tale circostanza,
- la moglie dell'incolpato ha dichiarato che questi adempiva solo occasionalmente all'obbligo di pagamento dell'assegno di mantenimento in favore della figlia in misura ridotta e di essere stata indotta dal coniuge a sottoscrivere l'accordo genitoriale, da lui preparato e, poi, a revocare il mandato al proprio avvocato;
- dal suo canto l'incolpato nel curare la propria difesa ha utilizzato espressioni irrispettose nei confronti del collega precisando che quanto dichiarato nell'esposto del collega "rasenta il ridicolo" non rispondendo al vero che egli non avesse mai versato alcunché in favore della figlia, e che "solo l'atteggiamento estorsivo e diffamatorio della collega ci vede impegnati in questa sede inutilmente".
All'esito dell'istruttoria il CDD ha applicato nei confronti dell'incolpato la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi ritenendo sussistente la violazione da parte sua delle seguenti norme deontologiche:
1) dell'art.41 del nuovo codice deontologico forense (ncdf) per aver fatto sottoscrivere alla moglie un "accordo genitoriale" in assenza del suo difensore pur conoscendo che la stessa era all'epoca ancora assistita dall'avvocato e senza dare a quest'ultimo preventiva cognizione;
2) dell'art. 64 c.1. e 2 e art. 9 ncdf per essersi reso inadempiente agli obblighi economici assunti con la separazione consensuale omologata dal Tribunale;
3) dell'art. 52 e art. 9 ncdf per aver usato, negli atti difensivi e negli atti depositati in sede disciplinare, espressioni offensive e sconvenienti nei confronti del collega.
Avverso la decisione del CDD l'incolpato ha proposto ricorso al Consiglio Nazionale Forense chiedendo la revoca del provvedimento perché a suo dire sarebbe infondato e illegittimo.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
In particolare per quanto concerne il capo di imputazione che considera il ricorrente reo di aver concluso un accordo con la moglie senza interpellare il collega che l'assisteva, giova ricordare le prescrizioni dell'art.41 nuovo codice deontologico a norma del quale:
"1. L'avvocato non deve mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita da altro collega.
2. L'avvocato, in ogni stato del procedimento e in ogni grado del giudizio, può avere contatti con le altre parti solo in presenza del loro difensore o con il consenso di questi.
3. L'avvocato può indirizzare corrispondenza direttamente alla controparte, inviandone sempre copia per conoscenza al collega che la assiste, esclusivamente per richiedere comportamenti determinati, intimare messe in mora, evitare prescrizioni o decadenze.
4. L'avvocato non deve ricevere la controparte assistita da un collega senza informare quest'ultimo e ottenerne il consenso.
5. La violazione dei doveri e divieti di cui al presente articolo comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura."
In coerenza con queste disposizioni il Consiglio Nazionale Forense ha affermato che "L'eccezione secondo la quale l'illecito concretizzatosi nel mettersi in contatto con la controparte non sarebbe configurabile in quanto l'incolpato agiva in proprio e non nella qualità di legale, non coglie nel segno, atteso che l'avvocato non può interpellare direttamente la parte che sappia assistita da altro legale anche se, come nel caso di specie, trattasi del coniuge." Pertanto appare evidente che anche l'avvocato che agisce in proprio è tenuto a rispettare i medesimi limiti deontologici nei rapporti con la controparte assistita da un collega.
Quanto all'illecito di cui all'art. 52 ncdf il Consiglio ha ritenuto che le frasi dell'incolpato rivolte nei confronti del collega non costituiscano espressione del legittimo esercizio del diritto di critica in quanto travalicano il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate. Questo limite, ha precisato il Consiglio, "deve essere individuato nella intangibilità della persona del contraddittore senza che si possa trascendere sul piano personale e soggettivo".
Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso confermando la decisione del CDD impugnata.