Con la sentenza n. 41785 del 26 settembre 2018, i giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno ribadito chiarito e ribadito che in caso di truffa a danno di un esercizio commerciale, il potere di proporre la querela spetta non solo al titolare dell'esercizio ma anche al singolo soggetto raggirato, come nel caso di specie, che era stato vittima della spendita di denaro falso ad opera di un cliente.
I Fatti
La Corte di appello di Trieste, emetteva sentenza con la quale veniva confermata quella emessa dal giudice di primo grado che aveva pronunciato la condanna nei confronti di due soggetti autori della truffa ax art. 640 c.p. messa in atto a danno del gestore di una area di servizio i quali dopo aver fatto carburante pagavano con banconote false.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati con due ricorsi distinti ma sovrapponibili deducendo la mancanza della condizione di procedibilità in quanto l' atto di querela era stata presentata dall'addetto alle casse dell'area si servizio e non dal titolare dell'esercizio commerciale. Deducevano inoltre il mancato rispetto delle forme previste dall'art. 333 c.p.p., comma 2, art. 337 c.p.p., comma 1, e art. 122 c.p.p.. Infine si deduceva infine che non poteva essere estesa al caso della truffa la giurisprudenza che legittimava l'addetto al supermercato a sporgere querela nel caso di furto.
Motivazione
Il ricorso è stato rigettato perché infondato.
I giudici della Seconda Sezione hanno inteso dare continuità alla giurisprudenza consolidata secondo cui il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all'addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato della vendita, o della transazione commerciale con cui si è consumato il reato. Ciò in quanto in questa ipotesi l'addetto alla cassa ha rivestito la titolarità di fatto dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice (Cass. Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016 - dep. 29/11/2016, P.M. in proc. Filannino, Rv. 268382).
Secondo questo orientamento giurisprudenziale viene valorizzato la condizione fattuale di "possesso" inteso come relazione di fatto con il bene alla cui apprensione è funzionale la condotta illecita. Di conseguenza nel reato di furto la titoalrità del diritto di querela spetta al semplice detentore della cosa (Cass. Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013 - dep. 30/09/2013, Sciuscio, Rv. 255975), lo stesso dicasi per l'ipotesi del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o nel caso di appropriazione indebita.
Secondo i giudici di legittimità "la stretta relazione tra il bene illecitamente appreso e la persona che patisce l'azione fraudolenta consente dunque di identificare nel possessore raggirato (nel caso di specie l'addetto alla cassa) la "persona offesa" dal reato, anche se il danno patrimoniale incide la sfera patrimoniale di un altro soggetto (nel caso di specie il titolare dell'esercizio commerciale)."
Nel caso di specie ni giudici del S.C. hanno ritenuto che "quando si procede per truffa, la titolarità del diritto di querela spetta sia al soggetto raggirato e materialmente defraudato del bene alla cui apprensione era diretta la condotta illecita, sia al soggetto che ha patito il danno patrimoniale, ovvero a colui che vanta il diritto di proprietà sul bene appreso illecitamente, essendo possibile la coesistenza di più soggetti passivi di un medesimo reato".
Per tali motivi il ricorso proposto è stato rigettato e la sentenza di condanna confermata.
Si allega sentenza