La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32589/2022 è intervenuta in merito alla decisione per cui è il datore di lavoro a corrispondere la relativa tassa d'iscrizione, non a tutte le figure professionali, ma, solo agli avvocati.
Difatti, non tutte le professioni intellettuali anche in presenza dell'obbligo d'iscrizione, godono del medesimo trattamento, restando la quota in alcuni casi a carico dello stesso dipendente.
È la decisione presa dalla Corte di cassazione, motivata sulla base della differenza di trattamento e del diverso regime cui sono sottoposti gli avvocati della p.a., avendo la legge escluso agli stessi la possibilità di esercitare la libera professione anche in caso di part-time non superiore al 50%, rispetto agli altri dipendenti pubblici.
A tale diversità corrisponde l'interesse esclusivo del datore di lavoro verso gli avvocati pubblici, che permette in questo caso particolare, di rimborsare loro il pagamento della tassa d'iscrizione all'albo.
La sentenza è stata originata dal fatto che, alcuni infermieri, anch'essi con obbligo d'iscrizione all'albo professionale, chiedevano il pagamento della tassa d'iscrizione al proprio datore di lavoro, sulla scia di quanto disposto dal giudice di legittimità riguardo agli avvocati pubblici.
Il giudice di primo grado e la Corte di appello respingevano il ricorso, ritenendo che, diversamente da quanto accade per gli avvocati lavoratori presso enti pubblici, l'attività infermieristica non comporta un obbligo assoluto di esclusività, potendo, di fatto, svolgere prestazioni professionali presso terzi, pubblici o privati.
I ricorrenti non d'accordo con la decisione, propongono ricorso in Cassazione sostenendo che l'assunzione a tempo pieno non è compatibile con l'autorizzazione a svolgere attività lavorativa in favore di terzi.
Inoltre, un'eventuale esclusione dal rimborso della tassa d'iscrizione all'albo, essendo prevista dalla legislazione come obbligatoria, realizzerebbe una disparità di trattamento rispetto agli avvocati pubblici.
Inoltre, tali posizioni in passato erano già state accolte dal tribunale di Pordenone che, con una sentenza del 2019 aveva dato ragione e 214 infermieri.
Ma, per la Corte non insiste alcuna discriminazione, tra il rimborso della tassa d'iscrizione all'albo prevista per gli avvocati pubblici, rispetto alle altre professioni intellettuali operanti all'interno della PA.
Quali le ragioni della Corte?
Il principio per il quale il giudice di legittimità ha consentito il rimborso della tassa d'iscrizione degli avvocati pubblici discende dal loro obbligo di esclusiva, finalizzato unicamente a consentire la difesa in giudizio dell'ente.
Da tale obbligo discende l'iscrizione degli avvocati nell'elenco speciale allegato all'albo professionale degli avvocati che svolgono attività lavorativa dipendente, dall'altro dall'inapplicabilità all'avvocatura della legge n. 662/1996 che consente in ogni caso, a prescindere dalle limitazioni stabilite per le singole categorie professionali, l'iscrizione agli albi dei dipendenti pubblici con rapporto di lavoro parziale, purché la prestazione lavorativa non ecceda il 50% del tempo pieno.
L'avvocato dipendente pubblico, non può in nessun caso perché esiste apposito divieto esercitare la professione a favore di terzi, ecco perché la sua iscrizione nell'elenco speciale è fatta nell'esclusivo interesse del datore di lavoro, non lo stesso per altre professioni come quella degli infermieri, i quali non hanno un divieto assoluto, in particolare per i dipendenti part-time.
Tale differenza giustifica e motiva la diversità di trattamento.