Di Anna Sblendorio su Mercoledì, 26 Gennaio 2022
Categoria: Il caso del giorno da 9/2019

Tar. Vendita di mascherine FFP2 prive di marchio CE costituisce pratica commerciale scorretta.

 Con sentenza n.440 del 17/01/2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha affermato "la finalità "protettiva" della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, la quale, proprio perché costituisce una difesa "avanzata" a tutela della buona fede del consumatore, poggia su criteri di imputazione di spiccata natura oggettiva, che prescindono dall'elemento psicologico "interno" e piuttosto valorizzano il profilo oggettivo del pregiudizio che possa derivare alla platea dei consumatori" (fonte https://www.giustizia-amministrativa.it/).

Vediamo il caso sottoposto all'attenzione dei giudici amministrativi.

I fatti di causa.

La società ricorrente ha ricevuto dall'Autorità competente comunicazione dell'apertura di un procedimento a suo carico per l'accertamento della sussistenza di pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, co. 1, lett. b), e co. 3, 23, co. 1, lett. t), 24 e 25 Codice del Consumo per

Al termine della fase istruttoria, l'Autorità ha adottato un provvedimento con il quale ha accertato la sussistenza di pratiche commerciali scorrette, irrogando una sanzione pari a 550.000,00 euro.

 Il ricorrente ha impugnato dinanzi al Tar il provvedimento per seguenti vizi dell'iter procedimentale lamentando in particolare:

La decisione del Tar.

In primo luogo il Tar ha affrontato l'eccezione del ricorrente secondo cui la messa in commercio di mascherine diverse da quelle pubblicizzate non sarebbe a sé imputabile, in quanto egli sarebbe solo il mero rivenditore e non il fornitore dei prodotti. A questo proposito, il giudice amministrativo ha rilevato che la qualità di "mero rivenditore" non costituisce un'esimente, in quanto anche il rivenditore "è tenuto, in via generale, alla dovuta vigilanza sulla corretta commercializzazione di un prodotto (tanto essenziale nel periodo del "picco" della pandemia che ha colpito il paese nel periodo di riferimento) che presenti le caratteristiche vantate." Infatti i dispositivi sono stati venduti privi della certificazione a marchio CE rilasciata da un ente stabilito all'interno dell'Unione (quindi senza la dicitura FFP2) e non sono stati sottoposti alla procedura di autocertificazione all'Inail, prescritta dall'articolo 15 del d.l. n. 18/2020.

Quanto all'elemento soggettivo, il Tar ha evidenziato che la finalità "protettiva" della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, stabilita a tutela della buona fede del consumatore, prescinde dall'elemento psicologico "interno". Ciò che rileva è, infatti, il profilo oggettivo del pregiudizio che possa derivare ai consumatori.

 Per quanto riguarda la ravvisata aggressività della pratica commerciale posta in essere, a parere del Collegio, l'Autorità ha correttamente individuato la falsità e/o l'omissione ravvisabili nelle affermazioni utilizzate nella pubblicità ed il conseguente difetto di chiarezza e di completezza, che hanno impedito una piena consapevolezza del compratore circa la reale natura del prodotto. A questo proposito il Tar ha ricordato il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo la quale: "l'onere di completezza e chiarezza informativa previsto dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto e i termini dell'offerta o del prodotto, così inducendo in errore il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto degli stessi, condizionandolo nell'assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato" (cfr. CdS n. 5250/2015; Tar Lazio n. 106/2013).

Il Collegio non ha neppure riconosciuto l'esimente per il presunto utilizzo dei ricavi della vendita per ripianare i costi sostenuti per cui il professionista avrebbe ricavato un esiguo profitto. Ciò in quanto è risultato che "il ricarico sul costo delle mascherine è stato di circa il 50%, derivandone dunque una speculazione che certo non può essere neutralizzata dalla dedotta necessità di dover sostenere i costi di marketing."

Infine, il Tar ha ritenuto corretta la quantificazione della sanzione nel 10% del massimo edittale, maggiorata di un ulteriore 1%, in ragione della recidività del professionista, ricordando che la finalità delle sanzioni irrogate dall'Autorità nell'ambito delle pratiche commerciali scorrette non presenta un carattere puramente reintegratorio, essendo, piuttosto, connotata da preminente efficacia deterrente (ex plurimis cfr. Tar Lazio n. 5523/2019; n.61/2019 richiamate da sentenza n.440/2022).

Sulla base di queste considerazioni, il TAR per il Lazio ha respinto il ricorso.