Di Rosalba Sblendorio su Sabato, 29 Giugno 2019
Categoria: Legge e Diritto

Senza urgenza, il prefetto non può vietare di stazionare in alcune zone della città

È illegittimo il provvedimento prefettizio con cui si vieta di stazionare in alcuni luoghi della città, assurti a c.d. "zone rosse" e operante nei confronti delle persone cui è stata contestata la violazione della normativa sul commercio in area pubblica o che risultano denunciate per i reati di percosse, lesioni personali, rissa, danneggiamento o spaccio di sostanze stupefacenti. Tale divieto, infatti, può essere imposto solo in via straordinaria e non come misura preventiva ordinaria. Ove si volesse ricorrere a tale misura in via ordinaria, essa dovrebbe essere prevista da una specifica norma di legge, come è stabilito dall'articolo 16, primo comma, della Costituzione. Secondo tale disposizione, infatti, «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza».

Questo è quanto ha statuito il Tar Toscana, con sentenza n. 823 del 4 giugno 2019.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa.

Il ricorrente ha agito dinanzi al Tar Toscana per sentir dichiarare l'illegittimità del provvedimento emesso dal prefetto, con cui quest'ultimo ha disposto il divieto di stazionare in alcuni luoghi della città, assurti a c.d. "zone rosse". Un provvedimento, questo, operante nei confronti delle persone cui è stata contestata la violazione della normativa sul commercio in area pubblica o che risultano denunciate per i reati di percosse, lesioni personali, rissa, danneggiamento o spaccio di sostanze stupefacenti.

Il ricorrente lamenta, in particolare, che nel caso di specie l'atto impugnato:

Ad avviso del Tar Toscana, le lamentele del ricorrente sono fondate.

Vediamo in che termini.

La decisione del Tar.

Innanzitutto, appare opportuno far rilevare che il provvedimento impugnato è stato emanato in base all'articolo 2 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. Secondo tale disposizione, «il prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica».

Da quanto detto, risulta chiaro che per l'adozione di questo tipo di provvedimenti e, quindi, anche del divieto in questione, devono sussistere ragioni di urgenza o di grave necessità pubblica. In buona sostanza, se il prefetto ricorre all'esercizio di tali poteri sta a indicare che la tutela dell'ordine pubblico o della sicurezza pubblica non può essere garantita dall'uso di mezzi ordinariamente a disposizione dell'ordinamento. In tali casi, l'amministrazione dovrà dimostrare l'insufficienza degli strumenti ordinari a sua disposizione.

Tornando al caso di specie, il Tar ha rilevato che, nella questione, manca proprio la dimostrazione, da parte dell'Amministrazione, di detta insufficienza (C.d.S. IV, 1 giugno 1994 , n. 467; T.A.R. Sicilia Palermo I , 20 marzo 2009 n. 537). Infatti, ad avviso dei Giudici amministrativi, il provvedimento impugnato:

Questa mancanza rende l'atto in oggetto carente in merito alla considerazione delle difficoltà degli strumenti ordinari ad affrontare situazioni che richiederebbero un ricorso a mezzi di sicurezza straordinari. Dal quadro così prospettato, ciò che emerge è l'utilizzo del divieto di stazionare in determinate aree urbane come strumento di prevenzione ordinario, in violazione di quanto statuito dall'articolo 16, primo comma, della Costituzione, secondo cui la limitazione della libertà di circolazione sul territorio nazionale è possibile solo se espressamente prevista dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. Per tali ragioni, a parere dei Giudici amministrativi, il divieto impugnato è illegittimo. Un'illegittimità, questa, che appare ancora più grave ove si pensi che tale provvedimento limita la circolazione non solo a chi è stato denunciato per determinati reati, ma anche a chi «è responsabile di "comportamenti incompatibili con la vocazione e la destinazione" di determinate aree. Detta automatica equiparazione – secondo il Tar – appare irragionevole poiché [...] non è predicabile in via automatica un comportamento di tal genere in capo a chi sia solamente denunciato per determinati reati». In buona sostanza, il divieto in questione, ai fini della sua legittimità, oltre a indicare le ragioni di urgenza e necessità alla base della sua adozione, avrebbe dovuto enunciare gli elementi qualificanti la pericolosità sociale dei soggetti denunciati, desumibili concretamente, ad esempio, da precedenti di polizia.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Tar Toscana ha accolto il ricorso, annullando, per i motivi su esposti, il provvedimento prefettizio impugnato.

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