Di Paola Moscuzza su Martedì, 02 Maggio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Svolgere attività lavorativa nel periodo di malattia: quando scatta il licenziamento?

 

Chi usufruisce del periodo di malattia a seguito di infortunio, per svolgere altra attività lavorativa che certamente non favorisce la guarigione, rischia il licenziamento.
 
La Sezione Lavoro della Suprema Corte si pronuncia con sentenza n. 10416 del 27 Aprile 2017, in modo sfavorevole per il lavoratore protagonista del caso di cui si scrive.
 
La richiesta dell´uomo di essere reintegrato nel posto di lavoro e condannare la società per cui lavorava al risarcimento del danno per le retribuzioni perdute, era già stata respinta sia in primo che in secondo grado. Ago della bilancia la Cassazione, chiamata ad esprimersi sui motivi con cui il ricorrente reclamava ulteriormente giustizia.
 
Il lavoratore accusava infatti il non aver considerato, il giudice di merito, che svolgere un´attività lavorativa durante il periodo di malattia non è vietato, ma è doverosa una valutazione dell´attività stessa e della malattia, e quindi delle conseguenze che possa avere la prima sulla seconda rispetto alla guarigione.
 
Ora, contro la deduzione oggettiva che chiunque potrebbe ricavare rappresentandosi la situazione, a offesa dell´intelligenza di chi quindi, seduto in pizzeria, osserva l´andirivieni dei camerieri chiamati da un tavolo all´altro, il lavoratore si ostinava ad affermare che l´attività lavorativa svolta come cameriere e la contusione al calcagno per cui aveva ottenuto il periodo di malattia, in nessun modo entravano in rapporto, non ostando il servire ai tavoli alla guarigione del tallone lesionato (trauma contusivo con enterite calcifica al calcagno sinistro, per una maggiore contezza del lettore esperto dell´ambito sanitario)
La Corte d´Appello, confermando la sentenza di primo grado, manteneva le stesse osservazioni e cioè che, avendo l´uomo lavorato durante il periodo di malattia in modo continuativo dalle 19 di ogni giorno fino alla chiusura, questo avesse violato l´obbligo di correttezza e buona fede, forse anche simulando lo stato di malattia, e che violata a questo punto la fiducia della società, il datore di lavoro era autorizzato a recedere.
 
Anche laddove la malattia fosse stata reale, l´attività lavorativa svolta non avrebbe agevolato la guarigione e avrebbe ritardato la ripresa del servizio principale. Non solo quindi l´attività era incompatibile con lo stato di malattia, ma inoltre nessuna cautela era stata adottata al fine di far rientrare la stessa. (la Cass. con la 9474/09 espone tale avviso).
 
Crollata anche la fondatezza del secondo motivo di impugnazione, ossia l´erroneità della motivazione. E infatti il ragionamento che ha veicolato la Corte e le argomentazioni che hanno fatto propendere per la conferma del licenziamento per giusta causa, a detta della Cassazione, che respingeva il ricorso, rispondono a logiche giuridiche ragionevoli e lineari.
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015
 
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