Nei giorni scorsi un giovane (ventinovenne)ha perso la vita per suicidio presso la C.C. Pagliarelli e, come accade alle persone che si occupano della cura di soggetti portatori di disagio, gli operatori in servizio presso la struttura già citata sono stati investiti da un doloroso carico emotivo.
Pare opportuno, in questa tragica circostanza, stigmatizzare alcuni sconcertanti commenti sulle professionalità operanti in carcere, a firma di un esponente siciliano dell'associazione "Antigone".
Si attribuisce agli stessi la percezione della perdita della vita di un soggetto portatore di disturbi psichiatrici come "un fastidio in meno" (sic).
Ci chiediamo il perché di tali affermazioni pesantemente infamanti.Esse gettano un'ombra sulle professionalità operanti presso la Casa Circondariale Palermo-Pagliarelli quando, invece, sarebbe stato opportuno interrogarsi in merito alla scelta di sopprimere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari senza allestire strutture territoriali idonee a far fronte al trattamento del disagio psichico con pericolosità sociale.
Eppure è nota l'ingravescenza del disagio psichico in carcere, anche a seguito della soppressione degli O.P.G.
Ciò ha causato inevitabilmente, pertutti gli operatori penitenziari, tra cui i funzionari giuridico-pedagogici, una sovraesposizione in termini di responsabilità ed un pesante aggravamento del carico emotivo connesso all'espletamento dei compiti di propria competenza.
E' opportuno evidenziare che, particolarmente in occasione di eventi critici all'interno delle carceri, il Ministero della Giustizia non tralascia di porre sotto la lente d'ingrandimento tutti gli interventi degli operatori di riferimento e si registrano, in alcuni casi, anche aperture di procedimenti penali a carico di tali operatori.
A differenza di quanto sostenuto da qualcuno e non si comprende sulla base di quali elementi, gli operatori penitenziari attendono con scrupolo e grande senso di umanità alla rilevazione dei bisogni dei soggetti ristretti, alla cura degli stessi ed all'approntamento degli interventi più idonei.
Non sono tuttavia infallibili, non hanno la "sfera di cristallo".
Ma non pare che sia questo in discussione.
Viene piuttosto chiesto di accertare le responsabilità degli operatori rispetto ad un evento tragico come il suicidio, come se necessariamente ogni suicidio in carcere fosse ascrivibile a negligenza, imprudenza od imperizia di qualche operatore.
Va soggiunto altresì che spesso gli autori di simili gesti non lasciano trasparire alcun segnale sintomatico che possa far presagire la decisione di porre fine alla propria vita.
L'Associazione Nazionale Funzionari del Trattamento (A.N.F.T.) dunque, manifesta il proprio sconcerto per i contenuti dell'articolo suddetto, pubblicato in data 07/11/2018 sulla rivista "Ristretti Orizzonti", particolarmente offensivi sotto l'aspetto umano e professionale degli operatori penitenziari.
Tiene a ribadire con forza, quale gruppo di addetti ai lavori, che, al fine di favorire una migliore circolarità delle informazioni afferenti agli utenti ed alle dinamiche intramurarie e rendere più proficuo il processo di osservazione della personalità delle persone ristrette negli Istituti Penitenziari e, quindi, favorire l'effettività della funzione rieducativa della pena, la necessità di procedere ad una razionalizzazione dell'assetto organizzativo del personale che cura l'osservazione ed il trattamento dei soggetti ristretti in carcere.
Ringrazia, in ultimo, per la dedizione con cui assolvono il loro mandato istituzionale,gli operatori penitenziari e tra questi i Funzionari Giuridico-Pedagogici, garanti per eccellenza dei diritti dei detenuti. Non, invece, persone che rifuggono dai propri doveri come implicitamente affermato nell'articolo del quale si chiede all'autore, con cortese urgenza, un'opportuna rettifica.
Caltanissetta 08/11/2018
Il Presidente A.N.F.T.
Stefano Graffagnino