Con la pronuncia n. 9221/2016 la Suprema Corte ha affermato che: "laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini di vita e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima".
La vicenda trae origine dall'interruzione del rapporto sentimentale tra due fidanzati, per volontà della ragazza, a causa della morbosa e pressante gelosia del giovane. Lui, cessata la relazione con la persona offesa, aveva iniziato a farla oggetto di ripetute pressioni nonché minacce, seguite da numerose telefonate e messaggi a quali la ragazza rispondeva. La stessa, peraltro, accettava di partecipare ad un incontro chiarificatore durante il quale era stata costretta a subire un rapporto sessuale.
La Corte di Cassazione, partendo dal testo letterale della norma, precisa che ai fini dell'integrazione del delitto di stalking sono sufficienti anche due sole condotte molestatrici assillanti in successione tra loro: una condotta circoscritta ad una serie di atti di disturbo non seguita dall'evento-danno sulla persona non integra la fattispecie; al pari, è penalmente irrilevante una condotta tale da provocare ansia, stress e paura non caratterizzata da ripetitività. La gravità richiesta dalla norma dipende dall'intensità intrinseca delle minacce ricevute, dalla pericolosità dell'agente e dalle circostanze concrete dalle quali è possibile desumere la probabilità di verificazione del danno ingiusto.
I fatti in cui può estrinsecarsi lo stalking, prima del 2009 (anno di promulgazione della Legge), venivano puniti singolarmente e in misura meno grave da singole norme che prevedevano singole condotte/reato. Il reato di stalking consta di una reiterazione di condotte che antecedentemente erano già previste come reati avvinte (nel caso del reato di cui si tratta di atti persecutori) da un disegno unitario da parte dell'offender e tali da provocare eventi lesivi alla vittima di portata maggiore rispetto a quelli solitamente conseguenti alle singole condotte considerate (ed attuate) in maniera isolata.
La Corte, inoltre, afferma che il mutamento delle abitudini di vita costituisce il comportamento necessitato cui la vittima di atti persecutori deve ricorrere per cercare di sottrarsi agli stessi. Pertanto, il comportamento del soggetto passivo che asseconda la condotta del soggetto agente, fa venir meno l'indispensabile requisito del mutamento radicale delle abitudini di vita e la situazione di ansia della vittima.
Pertanto, secondo la Suprema Corte, rispondere alle telefonate e acconsentire ad un incontro chiarificatore, anziché prendere le distanze dal soggetto agente, rappresenta un comportamento incongruo ed idoneo ad escludere l'ipotesi di atti persecutori.
Tra i comportamenti che possono essere considerati di stalking vi sono appostamenti, minacce, ricatti, molestie, sorveglianza intrusiva, ripetuti contatti telefonici o tramite e-mail, chat, social network, continui tentativi di contatto, sguardi intimidatori, attenzioni sgradite, eccetera. È poi necessario che le condotte reiterate nel tempo producano, alternativamente, determinati eventi: un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima; un fondato timore per l'incolumità propria o di persone vicine alla vittima; il costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Se questi eventi non si determinano (o non sono provati), il reato non sussiste, anche se va precisato che potrebbero sussisterne altri, meno gravi, come meglio si dirà oltre.
E' proprio questo uno dei doveri del difensore dell'incolpato che, per quanto possibile e "provabile", confuterà la pretesa accusatoria in ordine alla sussistenza di uno degli eventi di danno previsti dalla norma. Il danno prodotto dalle condotte è alternativo: in ogni caso si tratta di ipotesi che evidenziano la posizione della persona offesa come di un soggetto che vede lesa la propria libertà morale, costretto ad una posizione difensiva a causa dell'invasività degli atti vessatori posti in essere dall'agente. Nel reato di atti persecutori rileva la risposta in concreto prodotta sul soggetto passivo effettivo e non l'idoneità astratta dei comportamenti. Dal punto di vista soggettivo stalker può essere chiunque: spesso è l'ex partner, ma può essere anche uno sconosciuto, un vicino di casa, un collega di lavoro. Il processo deve provare se l'accusato abbia agito con dolo, cioè con coscienza e volontà, comprendendo e volendo le proprie azioni e l'evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute.
Il reato è perseguibile a querela della persona offesa e il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi. Tuttavia, il reato è procedibile d'ufficio quando è commesso nei confronti di un minore o di una persona disabile o quando è stato preceduto da ammonimento (l'avvertimento orale a cambiare condotta) da parte del Questore.
Le pene previste per il reato di stalking sono il carcere, da 6 mesi a 4 anni. La pena viene aumentata se gli atti persecutori sono commessi dal coniuge legalmente separato o divorziato, o comunque da una persona che sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva. La pena è aumentata, fino alla metà, anche quando gli atti persecutori siano commessi nei confronti di un minore, di una donna incinta o di una persona disabile, oppure quando il reato sia stato commesso con l'uso di armi o da persona camuffata nell'aspetto.
Spesso sono contestate nel capo di imputazione condotte moleste collocabili cronologicamente prima della rottura del legame affettivo, quando, dopo la rottura del legame, diventano più frequenti, petulanti e insidiose ed in tale caso (come , in generale, per tutti i procedimenti per stalking) il difensore deve prestare massima attenzione all'esatto arco temporale a cui si riferisce l'accusa.