Con la sentenza in commento, la Corte si pronuncia sul reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, sanzionato dall'art. 11 D.lgs. 74/2000.
Il reato ivi descritto è una figura delittuosa molto dibattuta in quanto si tratta di un reato di pericolo che tutela in maniera molto anticipata il bene giuridico tutelato dai reati fiscali – ovvero il corretto adempimento del debito fiscale - in quanto prescinde da un inadempimento vero e proprio del contribuente.
Sanziona, invece, le condotte di chi, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Nel caso sottoposto alla Corte, è il pubblico ministero a ricorrere contro l'ordinanza del tribunale del riesame che ha annullato il decreto di sequestro preventivo.
L'accusa riteneva che l'ordinanza fosse errata poiché aveva male interpretato il dettato dell'art. 11.
Sosteneva il pubblico ministero che l'imputata aveva conferito i propri beni ad una società estera - intestandosene tutte le azioni- in modo tale da sottrarli all'esecuzione dell'Amministrazione finanziaria.
Deduceva che l'operazione era stata eseguita in frode al fisco poiché era stata compiuta a seguito della notifica del PVC.
La Corte, pur rilevando l'inammissibilità del ricorso, il quale era teso ad ottenere una censura dell'ordinanza sotto profili diversi da quelli esaminabili dal giudice di legittimità, ovvero la sola violazione di legge, si sofferma comunque sul ragionamento compiuto dal giudice del tribunale del riesame ritenendo di condividerlo.
Sul punto, infatti, aveva richiamato la giurisprudenza precedente che aveva affermato che "Il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11 è un reato di pericolo che richiede il compimento di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, che siano in concreto idonei - in base ad un giudizio "ex ante" che valuti la sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in rapporto alla pretesa dell'Erario - a rendere inefficace, in tutto o in parte, l'attività recuperatoria dell'Amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un'esecuzione esattoriale in atto. - Fattispecie di vendita di una particella immobiliare a società svizzera con soci non identificabili, in cui la S.C. ha annullato con rinvio la decisione che aveva ritenuto sussistente il "fumus" del reato, senza motivare in ordine all'effettivo carattere simulato della predetta operazione immobiliare e alle conseguenze derivanti dalla stessa sulla capienza del patrimonio complessivo dell'indagata, rispetto alle pretese dell'Erario -"; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016 - dep. 01/04/2016, Pass, Rv. 26677101".
Nel caso di specie, il giudice del riesame aveva poi osservato – come riporta la Corte - che l'imputata non si era spogliata di tutti i suoi beni, anzitutto poiché aveva ancora altri beni in Italia (circostanza questa non contestata dalla pubblica accusa) con i quali non v'era prova che non avrebbe potuto far fronte alla pretesa tributaria e, in secondo luogo, poiché comunque risultava intestataria delle quote della società estera in cui aveva conferito i beni immobili.