Di Paola Mastrantonio su Martedì, 14 Novembre 2023
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Somministrazione irregolare: la regola ermeneutica di cui all’art. 80-bis del D.L. 34/2020 si applica anche all’art. 27 D.Lgs. 276/2003.

L'art. 80bis, d.l. n. 34 del 2020 non è norma avente natura meramente modificativa ed innovativa, come tale soggetta al divieto di cui all'art. 11 delle preleggi, bensì norma di interpretazione autentica dell'art. 38 d.lgs. 81/2015, essa, dunque, non soggiacendo al divieto di retroattività, è riferibile anche alle controversie rispetto alle quali, ratione temporis, trovi applicazione l'art. 27, D.Lgs. n. 276 del 2003, abrogato.

Cassazione, sez. lavoro, sentenza del 7 novembre 2023, n. 30945.

In materia di somministrazione, l'art. 27 d. lgs. n. 276 del 2003 - poi abrogato dall'art. 55, comma 1, D.Lgs. 81/2015 - prevedeva: "quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all'art. 20 e all'art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.Nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata". 

 L'articolo in questione concludeva affermando che "tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione".

Da tale disposizione si traeva la conseguenza che, in caso di licenziamento, l'impugnazione andava proposta nei confronti dell'utilizzatore, anche nel caso in cui l'atto di recesso fosse stato intimato al lavoratore dall'impresa di somministrazione.

Come già anticipato, l'art. 27, d.lgs. n. 276 del 2003 è stato abrogato dall'art. 55, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 81 del 2015.

Tale ultimo decreto, al secondo periodo del comma 3 dell'art. 38, dopo aver previsto, per il caso di somministrazione irregolare, la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti dell'utilizzatore, così ripetendo lo schema dell'art. 27 introdotto nel 2003, aggiunge che "……tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione".

Tale ultima disposizione è stata oggetto di interpretazione autentica ad opera dell'art. 80-bis D.L. n. 34 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2020, il quale ha disposto: "il secondo periodo del comma 3 dell'art. 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81………..si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento".

Secondo un orientamento recentemente espresso dalla Cassazione, il secondo periodo del comma 3 dell'art. 38 del d.lgs. n. 81 del 2015 "deve qualificarsi come norma di interpretazione autentica, in quanto, chiarendo la portata della norma interpretata, intervenendo, con effetti retroattivi, su quei profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze, prescrive una regola di giudizio destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future", inoltre "la norma manifesta espressamente l'intento di precisare e chiarire la portata della norma interpretata e si limita ad intervenire, con effetti retroattivi, soltanto su quei suoi profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze", riassunti nei precedenti di legittimità puntualmente richiamati.

Nella sentenza n. 30945 del 7 novembre 2023, la Cassazione ha aggiunto un ulteriore tassello a tale ultimo principio, chiarendo che, sebbene la citata norma di interpretazione autentica appaia evidentemente riferita all'art. 38, d.lgs. n. 81 del 2015, tuttavia, in ragione della completa sovrapponibilità dei testi normativi di cui all'art. 27, secondo comma, d.lgs.276 del 2003 e dell'art. 38, terzo comma, d.lgs. n. 81 del 2015, deve ritenersi che l'art. 80 bis cit., sebbene privo di portata vincolante rispetto alla disciplina previgente, costituisca criterio ermeneutico decisivo per giungere ad identica conclusione anche in riferimento alla disposizione dettata dall'art. 27 d.lgs.276 del 2003.

Nel caso di specie, la Cassazione, ha ritenuto che, per effetto di tale criterio di massima, fosse venuto meno, per il giudice del rinvio, il dovere di applicare un precedente postulato enunciato dalla stessa Cassazione con un'ordinanza di rimessione e, ciò, dal momento che, nel nostro ordinamento, vige il la regola secondo la quale, qualora la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale, viene meno il dovere del giudice del merito di giudicare sulla base di quel principio di diritto precedentemente enunciato. 

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