Di Daniela Bianco su Martedì, 18 Settembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto di famiglia e minorile

Separazione e divorzio: quando spetta la quota dell’indennità di fine rapporto (TFR) corrisposta all’ex coniuge?

L'indennità di fine rapporto -nota come TFR- rappresenta una quota differita della retribuzione spettante al lavoratore almomento della cessazione del rapporto di lavoro, che la legge riconosce a tutti coloro che hanno svolto un lavoro subordinato o parasubordinato,

Nel caso in cui il lavoratore sia stato sposato, la legge prevede anche per l'ex coniuge il diritto di percepire una percentuale sul detto Tfr.

Ma quali sono le condizioni per ottenerla?

Sul punto, l'articolo 12-bis della legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898) inserito dall'articolo 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74, stabilisce espressamente che "il coniuge nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza". "Tale percentuale – si legge al secondo comma - è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio".

La legge mira così a soddisfare un intento di solidarietà tra gli ex coniugi, consentendo a uno di essi di poter fruire, una volta cessato il matrimonio, di una quota del trattamento economico maturato dall'altro coniuge lavoratore in costanza di matrimonio oltre che nel periodo di separazione come sarà di seguito specificato. Infatti il trattamento di fine rapporto non è previsto in caso di separazione: non esiste una norma che prevede in questo caso la partecipazione di un coniuge all'indennità di fine rapporto percepito dall'altro.

Da una lettura analitica dell'art. 12 legge sul divorzio, si evincono chiaramente le condizioni per avere diritto ad una quota di TFR.

Come va calcolata in concreto questa percentuale di indennità?

La percentuale di Tfr alla quale ha diritto l'ex coniuge spetta nella misura del 40 per cento della liquidazione maturata dal lavoratore, riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Come anticipato, va calcolata anche l'intera fase della separazione, poiché il matrimonio permane fino alla pronuncia di divorzio, quindi fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La base su cui calcolare la percentuale ex art.12-bis primo comma della legge n.898 del 1970 è costituita dall'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro.

Pertanto ai fini di un'esatta quantificazione della quota di indennità dovuta, si deve procedere nel seguente modo: dividere l'indennità percepita dal lavoratore (importo netto) per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro; il risultato va moltiplicato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo.

La legge sul divorzio stabilisce poi che il diritto alla percentuale di Tfr è riconosciuto "anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza". Espressione questa che – come chiarito dalla Cassazione - va intesa nel senso che il diritto alla quota sorge solo se l'indennità spettante all'altro coniuge matura al momento della proposizione della domanda di divorzio o dopo di essa e non, invece, nel senso che tale diritto sorge quando l'indennità sia maturata e sia stata percepita in data anteriore, eventualmente in pendenza del precedente giudizio di separazione (sul punto cfr. Cass. Sez. VI civile n. 7239 del 22.03.2018, Cass. civ. Sez. VI, 20 giugno 2014, n. 14129 , Cass. civ. Sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24421).

L'ex coniuge del lavoratore non può dunque vantare nessun diritto al Tfr prima del divorzio.

Poiché, però, l'assegno di divorzio costituisce il presupposto per l'attribuzione all'ex coniuge del Tfr del lavoratore, anche se il diritto al Tfr sorge dopo la domanda di divorzio, esso sarà esigibile solo dopo che la sentenza che riconosce il diritto all' assegno di divorzio diventa definitiva (cioè passa in giudicato).

Nel caso in cui il lavoratore abbia richiesto delle anticipazioni,  l'indennità che verrà percepita alla cessazione del lavoro sarà inferiore a quella spettante ove le anticipazioni non vi fossero state. L'anticipo, una volta accordato dal datore di lavoro e riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio e non può essere revocato, così determinandosi la definitiva acquisizione del relativo diritto (sul punto Cass. civ. Sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24421).

Va esclusa la parte accantonata dopo la sentenza di divorzio che spetterà al solo lavoratore.

Da ciò consegue che il calcolo della quota di Tfr dovuta all'ex coniuge del lavoratore deve essere effettuato al netto degli anticipi richiesti ed ottenuti dallo stesso durante il matrimonio, compreso il periodo di separazione. Sul punto Cass. civ. [ord.], sez. VI, 29-10-2013, n. 24421 secondo cui "la quota del trattamento di fine rapporto dell'altro coniuge, riconosciuta dall'art. 12 bis l. 1 dicembre 1970 n. 898, a quello titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, deve liquidarsi sulla base di quanto dal primo riscosso, per tale causale, al netto delle imposte, altrimenti trovandosi lo stesso a doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui non percepito siccome gravato dal carico fiscale".

L'art. 12 bis su richiamato si applica anche in caso di morte dell'ex coniuge ?

La risposta non può che essere affermativa: la giurisprudenza infatti ha chiarito che a seguito della morte del divorziato che abbia contratto un nuovo matrimonio, l'ex coniuge (titolare dell'assegno divorzile) ha diritto, in concorso con il coniuge superstite, non solo ad una quota della pensione di reversibilità, ma anche a una quota della indennità di fine rapporto" (Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222; Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2008, n. 23880).

Si riporta l'orientamento della Suprema Corte, Cass. civ. [ord.], sez. VI, 12-07-2016, n. 14171, secondo cui "In caso di divorzio, sono assoggettate alla disciplina di cui all'art. 12 bis l. n. 898 del 1970 le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (c.d. incentivi all'esodo), atteso che dette somme non hanno natura liberale né eccezionale ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto.

Recente l'orientamento di merito contrario (Tribunale di Milano sez. IX civ., sentenza 18 maggio 2017) secondo cui se l'ex coniuge lavoratore ha deciso di far confluire il TRF in un fondo per la previdenza integrativa l'ex coniuge il richiedente non ha diritto alla quota di TRF. Tale diritto, secondo il Tribunale di Milano, non spetta neanche nemmeno sulle somme costituenti incentivo all'esodo: si riporta la massima:

Il diritto dell'ex coniuge a una quota del TFR dell'ex congiunto, ai sensi dell'art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che risultino essere destinate a un fondo di

previdenza complementare. Infatti, premesso che l'art. 12 bis l.898/1970 riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota del 40% del TFR "percepito" alla cessazione del

rapporto di lavoro, è evidente che quanto accantonato su fondo pensione non viene riscosso alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò per il fatto che nel caso in cui il Tfr sia conferito ad un fondo di previdenza complementare, la liquidazione non è riconosciuta alla cessazione del rapporto di lavoro, ma alla maturazione dei requisiti per la pensione. Inoltre, le somme versate non sono riconosciute come liquidazione, ma come pensione integrativa, che viene erogata, nella maggior parte dei casi, in forma di rendita ed in alcuni casi in forma di capitale. In definitiva, tale istituto rientra nella previsione dell'art. 2123 c.c., quale forma di previdenza integrativa, e non nella previsione dell'art. 2120 c.c., al quale si riferisce l'art. 12 bis della legge n.898/1970.

Ed ancora:

Il diritto dell'ex coniuge a una quota del TFR dell'ex congiunto, ai sensi dell'art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all'esodo. Questo istituto, infatti, ha natura sostanzialmente risarcitoria: erogato nell'ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, mira a sostituire mancati guadagni futuri (lucro cessante). A differenza del TFR, dunque, l'incentivo all'esodo non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo "coincidente con il matrimonio", bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, ed al momento della sua erogazione in alcun modo è "riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio".

Dal punto di vista processuale:

  1. la giurisprudenza più recente ritiene che esista un'evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota di Tfr ai sensi della legge sul divorzio e la domanda di assegno divorzile (il cui riconoscimento condiziona l'accoglimento della domanda), per cui risponde ad un principio di economia processuale consentire che la richiesta di quota di Tfr venga formulata anche nel corso della causa di divorzio.L'art. 12 bis l. n. 898 del 1970 - nella parte in cui stabilisce, in favore del coniuge titolare dell'assegno divorzile, il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza, deve essere interpretato nel senso che tale diritto può sorgere anche prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, coerentemente con la natura costitutiva della sentenza sullo status e con la possibilità, ai sensi dell'art. 4 l. n. 898 del 1970, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza a partire dalla data della domanda (Cass. civ. [ord.], sez. VI, 22-03-2018, n. 7239)
  2. Se invece l'ex coniuge ha ottenuto la pronuncia di divorzio ed in un momento successivo sia venuto a conoscenza della cessazione del rapporto di lavoro da parte dell'ex coniuge, potrà presentare, contestualmente alla suddetta domanda di riconoscimento della quota di tfr, una richiesta di sequestro conservativo dell'indennità di fine rapporto dovuta all'ex, limitatamente alla quota a lui spettante. Ovviamente ciò sarà possibile in presenza delconcreto pericolo che l'ex coniuge sottragga la quota dovuta alla garanzia del credito dell'altro.
  1. Recentemente la giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 12-03-2012, n. 3924) ha statuito che la domanda di riconoscimento della quota di trf può essere azionata anche nel giudizio di modifica delle condizioni di divorzio: "la domanda di revisione dell'assegno di divorzio e quella riconvenzionale di riconoscimento di una quota di tfr sono oggettivamente connesse ai sensi dell'art. 36 c.p.c., perché il diritto all'assegno, di cui si discute nel giudizio di revisione, è il presupposto di entrambe, non rilevando, inoltre, se il diritto alla quota del tfr maturi successivamente alla sentenza di divorzio; pertanto, l'art. 40 c.p.c. ne consente il cumulo nello stesso processo, sebbene si tratti di azioni di per sé soggette a riti diversi. In passato invece la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 23 agosto 2006, n. 18367) aveva manifestato orientamento contrario al cumulo in quanto il presupposto per l'attribuzione della quota di fine rapporto è costituito dal giudicato sull'assegno divorzile, dunque la condanna dovrebbe essere una specie di condanna condizionata al giudicato.

Consigliato dunque rivolgersi ad un avvocato che nella presentazione del ricorso per divorzio valuti se presentare o meno contestualmente la domanda di riconoscimento della quota di TRF spettante all'ex coniuge nella misura dovuta ex lege.

Avv. Daniela Bianco del Foro di Reggio Calabria


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