Interessante sentenza dei giudici della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ( Sez. VI n. 40344 dell'11 settembre 2018) che nel pronunciare l'annullamento con rinvio di una sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di appello di Roma nei confronti di un pubblico funzionario chiamato a rispondere del reato di corruzione per l'esercizio della funzione cui all'art. 318 c.p, ha chiarito la differenza tra l'ipotesi di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, previsto dall'art. 319 c.p. e quella di cui all'art. 318 . Infine i giudici di legittimità hanno spiegato quando la condotta dell'autore del reato non può definirsi una "cortesia lecita" ma un vero e proprio atto di corruzione per l'esercizio della funzione.
I Fatti
L'imputato, consigliere della Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP), in concomitanza con l'adozione della delibera della quale era il relatore, aveva richiesto con insistenza ai vertici della società a cui era diretto il parere, di contattare una persona a cui teneva particolarmente per offrirgli un impiego. Cosa che in effetti avvenne dopo poco tempo l'adozione della delibera che approvava il parere.
Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Roma aveva confermato la sentenza emessa dal Gup del Tribuanle di Roma che, a seguito del giudizio abbreviato, aveva assolto l'imputato perché il fatto non sussisteI giudici di appello sostanzialmente hanno affermato che nessun rapporto sinallagmatico era emerso dai fatti contestati e pertanto il reato non poteva configurarsi.La Corte territoriale aveva evidenziato che, dall'istruttoria espletata, era emerso che il parere emesso era stato legittimamente adottato ritenendoche la questione dell'assunzione avesse assunto uno scarso valore negli interessi delle parti anche se i responsabili della società Xxxxxxxx s.p.a. volevano sicuramente ingraziarsi l'imputato trattandosi di persona nota ed importante. La Corte territoriale aveva qualificato «l'episodio si colloca in una zona grigia al confine tra ciò che è lecita cortesia nei confronti di una persona di elevato livello politico istituzionale e ciò che costituisce un vero e proprio rapporto sinallagniatico con la funzione pubblica, cosicché si impone la assoluzione dell'imputato».
Avverso la sentenza di assoluzione presentava ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma deducendo come unico motivo la violazione di legge in relazione all'articolo 318 cod. pen.. in quanto l'imputato ha ricevuto dalla Xxxxxxx s.p.a., per l'adozione della delibera che interessava alla predetta società, l'utilità consistita nell'assunzione di Xxxxxxx, violando il dovere di correttezza e di imparzialità del pubblico ufficiale e così commettendo il reato di corruzione per l'esercizio della funzione.
Motivazione
I giudici della Sesta Sezione Penale hanno ritenuto fondato il ricorso proposto e la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio.
I giudici del Supremo Collegio hannoevidenziato innanzitutto i salienti della figura del reato di corruzione prevista dall'art. 318 del c.p. alla luce della riforma della legge n. 190 del 6 novembre 2012,sottolineando come, il legislatore nel testo vigente abbia voluto attribuire alla fattispecie prevista dall'art. 318 cod. pen. un ambito di operatività residuale rispetto alla fattispecie principale della corruzione propria, e che la stessa ricorre tutte le volte in cui il mercimonio della funzione non abbia a oggetto, come nel caso di specie, atti contrariai doveri d'ufficio (Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante, Rv. 266510,
Per effetto della riforma intervenuta con la legge n. 190 del 2012, l'elemento essenziale della disposizione in esame diviene l'esercizio della funzione pubblica, svincolato da ogni connotazione ulteriore e per il quale vige il divieto assoluto di qualsiasi retribuzione o utilità da parte del privato.
Per tale motivo la configurabilità del reato di corruzione per l'esercizio della funzione, " si concretizza - affermano i giudici della Corte- a prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere legittimo o illegittimo, né è necessario che si accerti l'esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell'ufficio (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261353; Sez. 6, n. 40237 del 07/07/2016, Giangreco, Rv. 267634)". Di conseguenza solo la figura delittuosa di cui all'art. 319 cod. pen. richiede un sindacato riguardante il contenuto dell'atto.
Secondo i giudici della Sesta Sezione, precise sono le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l'art. 318 cod. pen. attiene a «quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del mercimonio della funzione o in cui l'oggetto di questo sia sicuramente rappresentato da un atto dell'ufficio», essendo invece applicabile l'art. 319 cod. pen., «quando la vendita della funzione sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri d'ufficio» (cfr., specificamente, Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, Esposito, Rv. 265619, in motivazione, ma anche, tra le altre, Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante, Rv. 266510).
Secondo i giudici di legittimità, nel caso di specie, la Corte di Appello non si è conformata ai principi consolidati in giurisprudenza e dettati nelle varie pronunce dal Supremo Collegio
Ha errato, secondo i giudici di legittimità, la Corte di appello, quando afferma nella sentenza impugnata che per la configurazione della fattispecie di cui all'art. 318 cod. pen. è necessaria l'esistenza di un rapporto sinallagmatico e l'emissione da parte del pubblico ufficiale di un atto illegittimo, posto che, come si è detto, il nucleo centrale della fattispecie di cui all'art. 318 cod. pen. è l'esercizio della funzione pubblica, svincolato da ogni connotazione ulteriore.
Per tutte le articolate considerazioni esposte dai giudici di legittimità, la sentenza impugnata è stata annullata per nuovo giudizio perché il giudice di merito possa valutare se, alla luce dei principi di diritto enunciati e della complessiva disamina dell'intero materiale istruttorio, se i rappresentanti della società privata abbiano potuto procurare all'imputato, funzionario pubblico, l'indebita utilità consistita nella assunzione di una terza persona in ragione del compimento da parte dell'imputato di un atto dell'ufficio.
Si allega sentenza