Riferimenti normativi: Art.2053 c.c. – art.677 c.p.
Focus: Gli edifici che minacciano rovina possono essere fonte di pericolo per la pubblica incolumità a causa della caduta di calcinacci, intonaco e altro. Su chi ricade la responsabilità per i danni che ne derivano? Con la sentenza n.50366 del 12 dicembre 2019, la Corte di Cassazione, I sezione penale, ha consolidato il principio giuridico, contenuto nell'art.2053 c.c., che " responsabili dei danni conseguenti alla rovina sono i proprietari e non l'amministratore dello stabile".
Principi generali: Con l'art.2053 c.c. il legislatore ha disposto che : "il proprietario di un edificio o altra costruzione (quali ad es. ponti, muri, baracche) risponde dei danni cagionati dalla loro rovina (che può essere totale o parziale, come nel caso in cui vi sia la caduta di calcinacci da un edificio), salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o vizio di costruzione". La norma, pertanto, attribuisce automaticamente la responsabilità al proprietario dell'immobile che è tenuto a risarcire i soggetti che hanno subito un pregiudizio a causa della cattiva manutenzione del bene, e, quindi, ha l'onere di fornire la prova contraria che lo liberi da tale responsabilità. La responsabilità si ritiene che possa essere estesa cumulativamente anche a coloro che hanno un diritto reale di godimento sul bene, ed è, invece, esclusa per i soggetti che conducono il bene in locazione. Nei condomìni gli interventi sulle parti comuni devono essere deliberati dall'Assemblea dei condòmini.
Nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento di fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all'art. 677 c.p. a carico dell'amministratore del condomìnio per non aver attuato interventi che non erano in suo materiale potere, ricadendo in tal caso su ogni singolo proprietario l'obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall'attribuibilità al medesimo dell'origine della stessa (Cassazione penale, sentenza del 12 dicembre 2019, n. 50366).
Il caso: I proprietari di unità abitative in rovina hanno omesso per lungo tempo i dovuti adempimenti di manutenzione, posti a loro carico dalle ordinanze sindacali del Comune, atti ad eliminare il pericolo incombente per la pubblica incolumità. Gli stessi, condannati in primo e secondo grado di giudizio "alla pena condizionalmente sospesa di mesi uno di arresto in ordine al reato di cui all'art. 677, comma 3, del codice penale", per inerzia nonostante l'intimazione sindacale ad eseguire i lavori necessari alla messa in sicurezza dell'edificio, hanno presentato ricorso alla Suprema Corte di Cassazione evidenziando di essere esenti da qualsiasi tipo di colpa perché essendovi - nel caso di specie - l'amministratore di condomìnio, " persona tenuta alla vigilanza e manutenzione dell'edificio condominiale", quest'ultimo avrebbe dovuto essere considerato soggetto attivo del reato al posto dei proprietari, la cui responsabilità era unicamente sussidiaria".
I giudici di legittimità, confermando quanto stabilito dal giudice di appello, hanno escluso ogni responsabilità dell'amministratore condominiale. Infatti, l'amministratore avrebbe potuto essere ritenuto responsabile soltanto per le parti condominiali pericolanti, ma al fine di essere esente da tale responsabilità è sufficiente che lo stesso sia intervenuto sugli effetti della rovina interdicendo l'accesso o il transito delle persone (principio questo affermato dalla Cassazione sez I, n. 21401 del 10/2/2009).
L'amministratore del condomìnio, quindi, deve provvedere a fare transennare, ove possibile, la zona per evitare pericoli incombenti e, subito dopo, deve convocare l'Assemblea condominiale affinché vengano adottate le misure necessarie a rimuovere definitivamente lo stato di pericolo per l'incolumità pubblica.