Di Paola Mastrantonio su Martedì, 19 Luglio 2022
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Risponde di false attestazioni e truffa aggravata il “contrattista” che timbra il badge anche per gli altri.

Lo ha dichiarato la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 21251/2022, così estendendo la platea dei soggetti cui è possibile applicare l'art. 55 TUPI anche ai dipendenti assunti con contratto a tempo determinato.

Le massime

Proprio per la funzione autocertificativa che la timbratura del cartellino elettronico assume rispetto agli obblighi degli orari di lavoro e dell'espletamento in concreto delle proprie mansioni, qualsiasi condotta manipolativa delle risultanze di quella attestazione è di per sé idonea a trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio in merito alle circostanze di fatto che quella attestazione è intesa a dimostrare, ossia la sua presenza sul luogo di lavoro, sicchè l'indebito utilizzo dei badges, configura sia la modalità fraudolenta prevista dall'art. 55 quinquies del d.lvo 165 del 2001, che gli artifici e raggiri che compongono l'elemento materiale del reato di truffa aggravata ai danni dell'ente pubblico.

Prestandosi alla timbratura per conto di terzi, il dipendente elude volontariamente il sistema di controllo della presenza in servizio del collega in favore del quale attesta la presenza e pur non essendo in grado di accertare se il collega stia lavorando in quel momento, accetta il rischio di attestare la falsa presenza in servizio del collega e, di conseguenza, di arrecare un danno all'ente pubblico.

La locuzione dell'art. 55 quinquies del d.lgs n. 165 del 2001 è norma di carattere generale che riguarda il personale dipendente di tutte le pubbliche amministrazioni.

Il fatto.

Alcuni dipendenti del Comune di Caltanissetta venivano ripresi dalle telecamere mentre passavano nella macchina marcatempo anche il cartellino segnatempo di altri soggetti.

Il Tribunale dichiarava la responsabilità penale di tutti gli imputati in relazione alle fattispecie di cui all'art. 55 quinquies e 640, comma 2 cod.pen., oltre al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita Comune di Caltanissetta, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento di una somma di denaro a titolo di provvisionale.

La sentenza veniva confermata anche dalla Corte territoriale, la quale condivideva altresì la decisione del primo giudice in punto di configurabilità della qualifica di dipendente pubblico c.d. contrattisti, ossia a coloro che prestavano attività lavorativa in quanto assunti con contratti a tempo determinato regolati dalla legge Regionale Siciliana.

I difensori di tutti gli imputati ricorrevano in Cassazione, lamentando, in particolare, la violazione di legge in relazione all'art. 55 TUPI, ritenendo che incontrattisti non rivestissero la qualifica di dipendenti pubblici, e la falsa applicazione dell'art. 640, c.p., non ravvisandosi l'elemento psicologico tipico del reato di truffa aggravata in coloro che avevano materialmente provveduto a timbrare il badge per conto degli altri.

La decisione della Corte.

Secondo la Cassazione bene aveva fatto la Corte territoriale nel ritenere la condotta di falsa attestazione di cui all'art. 55 quinquies del d.lvo 165 del 2001, in concorso tra il dipendente che, in possesso del cartellino marcatempo di altro soggetto dipendente, lo utilizzava inserendolo nella macchina marca tempo, così attestandone la presenza, e colui che, previa consegna del personale cartellino al primo, beneficiava di tale falsa attestazione.

Inoltre, quanto all'idoneità della condotta, gli ermellini hanno osservato che gli strumenti di rilevamento della presenza costituiscono prova della presenza sul luogo di lavoro degli intestatari nel periodo intercorrente tra l'ora di ingresso e quella di uscita, con la conseguente rilevanza delle relative attestazioni ai fini della regolarità del servizio e, al contempo, della retribuzione che a ciascuno compete. La timbratura del cartellino effettuata dal terzo per conto del dipendente impedisce, pertanto, il controllo di chi è tenuto alla retribuzione sulla quantità dell'attività lavorativa prestata, in vista tanto di un recupero (ove previsto) del periodo di assenza che di una correlativa detrazione dal compenso mensile, così che, sotto tali profili, costituisce condotta certamente idonea a trarre in inganno ed a far conseguire ingiusti profitti. Conseguentemente, le reiterate e reciproche timbrature, mediante cui il pubblico dipendente attesti la falsa presenza del degli altri in ufficio, possono senz'altro ritenersi artifici e raggiri idonei a trarre in inganno l'ente pubblico sullo svolgimento dell'attività lavorativa.

Circa l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 55 quinquies e di quello di truffa nei confronti di concorrente dipendente che si prestava alla timbratura per conto di altri e in relazione al profitto del reato di truffa, la Cassazione ha evidenziato che, prestandosi alla timbratura per conto di terzi, il dipendente elude volontariamente il sistema di controllo della presenza in servizio del collega in favore del quale attesta la presenza, e pur non essendo in grado di accertare se il collega stesse lavorando in quel momento, accetta il rischio di attestare la falsa presenza in servizio del collega e, di conseguenza, di arrecare un danno all'ente pubblico.

Peraltro, ha osservato il Collegio, la falsa attestazione della presenza del collega attraverso l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza costituisce quella modalità fraudolenta idonea a trarre in inganno l'ente pubblico, situazione che il soggetto che si prestava alla timbratura per conto terzi si rappresentava in via diretta.

Quanto all'erronea applicazione dell'art. 55 quinquies del D.Lgs n. 165 del 2001 ai "contrattisti", fondata sul rilievo che l'applicazione della fattispecie di falso di cui all'art. 55 quinquies cit. ai soggetti indicati dalla L.R. Sicilia n. 85 del 1995 avrebbe costituito un'applicazione in malam partem, posto che costoro non rivestirebbero la qualifica di "lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione", soggetto attivo del reato proprio, la Cassazione ha preliminarmente ricordato che il d.lgs n. 165 del 2001 si applica ai "rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" , tra cui è ricompreso il Comune ed, inoltre, che la locuzione dell'art. 55 quinquies del d.lgs n. 165 del 2001, ha carattere generale e riguarda il personale dipendente di tutte le pubbliche amministrazioni.

Nel caso sottoposto alla valutazione dei giudici del merito, poi, prosegue la Cassazione, i c.d. contrattisti avevano concluso un contratto a tempo determinato e parziale con l'ente, e, volontariamente, avevano prestato la propria attività lavorativa, dietro corrispettivo, alle dipendenze del Comune di Caltanissetta: dunque i c.d. contrattisti erano effettivamente inseriti nell'organizzazione comunale ed adibiti allo svolgimento di attività rientranti nei fini istituzionali dell'ente comunale.

In tale contesto, si legge nell'ordinanza scrutinata, la circostanza che i lavoratori partecipassero ai progetti di utilità collettiva per l'attuazione dei quali era stata introdotta la L.R. Sicilia n. 85 del 1995 (Norme per l'inserimento dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67) ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro, e per i quali era previsto un finanziamento del 90% a carico delle casse regionali, non incide sulla loro qualificazione quali lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Secondo gli Ermellini, nemmeno la circostanza che costoro fossero inseriti in elenchi da cui il Comune di Caltanissetta aveva attinto, non vale a superare le evidenziate circostanze che hanno caratterizzato il loro rapporto con l'ente (contratto con l'ente, inserimento nell'organizzazione dell'ente, attività rientrante in quella istituzionale dell'ente). Né in senso contrario depone l'aspetto "assistenziale" connaturato a tale tipo di rapporto di lavoro. In proposito ha ricordato un precedente della giurisprudenza lavoristica della Corte di cassazione in tema di occupazione di lavori socialmente utili o per pubblica utilità, secondo cui la qualificazione normativa di tale fattispecie, avente matrice assistenziale e componente formativa, non esclude che in concreto il rapporto possa atteggiarsi come subordinato - assumendo rilievo a tal fine l'effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione pubblicistica e l'adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'amministrazione - con conseguente applicazione dell'art. 2126 c.c..

Dunque, conclude sul punto la Corte, poiché l'inquadramento degli imputati sotto il profilo giuslavoristico deve ritenersi corretto, parimenti corretta, deve ritenersi la sussunzione della condotta da costoro posta in essere nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 55 quinquies, TUPI.

Messaggi correlati