È nullo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno se risulta essere stato emesso dalla P.A. a seguito di una istruttoria superficiale e carente. E ciò soprattutto laddove quest'ultima non abbia preso in considerazione gli elementi di fatto a disposizione.
Questo è quanto ha ribadito il Tar Lombardia, con sentenza n. 1617 del 26 agosto 2020.
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.
I fatti di causa
Il ricorrente ha presentato istanza alla questura al fine di ottenere il rinnovo del titolo di soggiorno per lavoro autonomo. A sostegno di detta istanza ha allegato l'avvio di una propria attività di commercio ambulante. È accaduto che il questore ha negato il rinnovo, rilevando:
- l'insufficienza dei redditi dichiarati dal ricorrente ai fini del suo sostentamento;
- la falsità della dichiarazione di ospitalità da parte di un'altra cittadina straniera.
Contro detto provvedimento di rigetto, il ricorrente ha adito il Tar, chiedendone l'annullamento.
Analizziamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.
La decisione del Tar
Innanzitutto appare opportuno evidenziare che l'art. 5 D.lgs., n. 286/1998, comma 5, stabilisce che «il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato [...] e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili». Alla luce di tale disposizione, appare evidente che la P.A., ove ritenga di non dover procedere al rinnovo del permesso di soggiorno, deve verificare la carenza dei requisiti idonei a consentire all'interessato la permanenza nel territorio dello Stato.
Ciò premesso, tornando al caso di specie, il ricorrente lamenta il difetto di istruttoria e di motivazione di cui sarebbe affetto il diniego in questione.
Dello stesso avviso è il Tar. Vediamo perché.
Il ricorrente ha versato in atti:
- la documentazione attestante l'attività dallo stesso svolta (vendita ambulante al dettaglio di stoffe e tessuti) e il suo domicilio fiscale coincidente con l'attuale abitazione;
- le dichiarazioni dei redditi degli anni 2016, 2017 e 2018, unitamente al prospetto costi-ricavi di esercizio per l'anno 2018, dalle quali emerge un reddito superiore alla soglia minima e dunque sufficiente al sostentamento.
Inoltre, il ricorrente ha provato di aver effettuato «i pagamenti a titolo di poste contributive, come liquidate dall'agenzia delle entrate a seguito di richiesta di rateizzazione».
Tali elementi di fatto sono stati forniti dal ricorrente anche nel corso del procedimento amministrativo e di essi l'amministrazione non ne avrebbe tenuto conto. Tale omissione, secondo il Tar, ha portato come conseguenza:
- l'impugnazione del diniego in esame;
- «un esito provvedimentale non coerente con i presupposti fattuali a disposizione».
Il corredo documentale fornito dal ricorrente, sia nel corso dei procedimenti amministrativi sia in sede giudiziaria, smentirebbe le conclusioni cui è pervenuta la questura. E ciò in considerazione del fatto che il diniego del rinnovo di soggiorno non sarebbe giustificato dall'assenza dei requisiti di cui al predetto art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998.
In virtù delle suesposte argomentazioni, pertanto, i Giudici amministrativi hanno accolto il ricorso, ritenendo che:
- «i provvedimenti impugnati risultano essere stati assunti sulla base di una istruttoria superficiale e carente;
- l'amministrazione non ha considerato con attenzione l'insieme degli elementi di fatto a disposizione.