È illegittimo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno se non è preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa istanza (art. 10 bis, Legge, n. 241/1990). E ciò in considerazione del fatto che tale comunicazione:
- va fatta in riferimento a «tutti i procedimenti ad iniziativa di parte, ad eccezione di quelli espressamente esclusi (tra i quali non rientra quello relativo alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno)»;
- è finalizzata a «consentire il contraddittorio tra privato e Amministrazione prima dell'adozione di un provvedimento negativo e allo scopo, quindi, di far interloquire il privato sulle ragioni ritenute dall'Amministrazione ostative all'accoglimento dell'istanza».
Questo è quanto ha ribadito il Consiglio di Stato con sentenza n. 8341 del 5 dicembre 2019.
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.
I fatti di causa.
Il ricorrente è un cittadino albanese e ha presentato un'istanza di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. È accaduto che, la questura ha dichiarato inammissibile la predetta istanza perché ha rilevato che:
- il ricorrente è entrato in Italia senza visto di ingresso:
- dalla disamina della banca dati, egli non risulta in possesso di alcun nulla osta al lavoro;
- è stata dichiarata inammissibile anche un'altra istanza presentata dal cittadino straniero per ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari.
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento amministrativo, deducendo che, in realtà, egli:
- risiede in Italia con la propria famiglia dal 2012;
- è entrato nel territorio nazionale con idoneo titolo di ingresso;
- ha ottenuto il permesso di soggiorno per cure mediche;
- ha un lavoro e un'abitazione nella quale vive con la propria famiglia (moglie e tre figli minori);
- ha ricevuto notizia del rigetto dell'istanza per ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari con la notifica del provvedimento in questione.
Alla luce di tali deduzioni, pertanto, il ricorrente ha ritenuto illegittima la decisione della P.A., avendo quest'ultima omesso di inviargli il preavviso di rigetto. Tale mancanza, a suo dire, avrebbe costituito violazione dell'art. 10 bis, Legge n. 241/1990.
In primo grado, il ricorso è stato rigettato e così il caso è giunto dinanzi al Consiglio di Stato.
Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità.
La decisione del CdS.
Innanzitutto appare opportuno richiamare la disciplina applicabile alla questione in esame, ossia quella dettata dall'art. 10 bis, Legge n. 241/1990. Secondo tale disposizione «nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La suddetta comunicazione interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Tale comunicazione non è eseguita con riferimento alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali».
Da tale norma, risulta evidente che la comunicazione in questione, nei procedimenti a istanza di parte, è finalizzata a garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento amministrativo, consentendo una corretta instaurazione del contraddittorio.
La sua omissione impedisce al cittadino di poter interloquire con l'amministrazione e di addurre le ragioni che, ove fondate, potrebbero portare all'accoglimento dell'istanza, evitandone il rigetto. Con riferimento, in particolare, all'istanza per ottenere il permesso di soggiorno, la giurisprudenza ha affermato che «è illegittimo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, non preceduto dalla comunicazione dell'art. 10 bis Legge n. 241/1990, considerato che tale disposizione si applica a tutti i procedimenti ad iniziativa di parte, ad eccezione di quelli espressamente esclusi (tra i quali non rientra quello in questione) al fine di consentire il contraddittorio tra privato e Amministrazione prima dell'adozione di un provvedimento negativo ed allo scopo, quindi, di far interloquire il privato sulle ragioni ritenute dall'Amministrazione ostative all'accoglimento dell'istanza» (Cons. Stato, n. 4413/2019). Ciò premesso, tornando al caso di specie, a parere dei Giudici d'appello, nella questione in esame il preavviso di rigetto sarebbe stato doveroso perché in osservanza della predetta norma, ma ancor più perché il provvedimento impugnato fonda le sue ragioni sulla precedente decisione della questura con la quale è stata dichiarata inammissibile la prima istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di famiglia: una decisione, questa, mai notificata al ricorrente. Ad avviso del Consiglio di Stato, è evidente che il richiamo a tale decisione non può costituire elemento dal quale dedurre l'inutilità dell'apporto procedimentale da parte dell'interessato, né può esimere la questura dalla comunicazione di cui al su citato art. 10 bis. Se a questo si aggiungono gli ulteriori elementi di fatto dedotti dal ricorrente, appare chiaro che la questura non avrebbe dovuto mancare di rispettare le garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello e annullato il provvedimento impugnato.