L'esatta ricostruzione della posizione di garanzia anima il dibattito dottrinale e giurisprudenziale ed inevitabilmente, è destinata ad avere risvolti pratici di notevole importanza. L'art. 40 c.p., com'è noto, prevede che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Viene quindi cristallizzata, nella citata norma, l'equivalenza tra il 'non impedire' e il 'cagionare' un determinato evento.
L'art. 40 c.p. dà luogo, dunque, ad un fenomeno di estensione della punibilità in quanto il dovere giuridico di agire, che caratterizza anche i reati omissivi propri, include nel suo oggetto anche il mancato impedimento dell'evento. Affinché ciò accada, e cioè sia ravvisabile un obbligo giuridico penalmente rilevante, è necessario che sussistano essenzialmente due elementi, ossia non basta la mera possibilità materiale di impedire un evento, essendo necessario che l'azione impeditiva dello stesso sia posta da una norma giuridica e poi vi è la presenza di un obbligo giuridico (o anche detto di garanzia) di impedire un evento.
Ricostruita in questi termini, la posizione di garanzia è allora configurabile come un vincolo di tutela tra un bene giuridico ed il soggetto garante, a cui il bene stesso è affidato, in virtù dell'incapacità del titolare di proteggerlo e salvaguardarlo autonomamente.
Appare evidente come l'art. 40 c.p. crei un problema di contemperamento tra due interessi contrastanti: da un lato l'interesse a proteggere un bene giuridico considerato meritevole di tutela dall'ordinamento e, dall'altro, l'esigenza di non estendere l'area della responsabilità penale al di là dei comportamenti penalmente rilevanti, alla luce del principio di tipicità e tassatività della legge penale sancito dall'art. 25 della Costituzione. Proprio tale contrasto ha portato la dottrina e la giurisprudenza a formulare nel corso degli anni diverse teorie in ordine all'individuazione delle fonti delle posizioni di garanzia.
Alcune di esse hanno valorizzato l'importanza del principio di tipicità della legge penale concludendo per la necessità di una fonte formale che attribuisca ad un determinato soggetto il ruolo di garante. Non sono infine mancate teorie che hanno cercato di sintetizzare il criterio formale con quello sostanziale, attraverso l'individuazione degli obblighi di garanzia sulla duplice base della loro previsione in una fonte formale e della loro corrispondenza alla funzione sostanziale di garanzia.
La giurisprudenza sembra da tempo orientata a favore di una concezione anche sostanzialistica della posizione di garanzia, potendo quest'ultima essere generata non solo da un'investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purché l'agente assuma la gestione del rischio mediante un comportamento concludente consistente nell'effettiva presa in carico del bene protett
Questo atteggiamento favorevole alla ricostruzione delle posizioni di garanzia in termini fattuali è stato sviluppato soprattutto nell'ambito della responsabilità del medico; non è un caso che proprio in quest'ambito, in cui forse si pone più che in qualunque altro l'esigenza di tutelare il bene giuridico della vita e dell'integrità fisica, la responsabilità del personale sanitario è stata affermata addirittura facendo ricorso alla categoria del contatto sociale qualificato, affermata in campo civilistico.
In quest'ottica il contatto sociale si atteggerebbe alla stregua di un atto negoziale atipico da cui scaturirebbero specifici obblighi di impedimento dell'evento. Non sorprende dunque che la giurisprudenza abbia in più occasioni riconosciuto non solo la responsabilità del medico che lavora in équipe, ma anche del medico chiamato ad effettuare un consulto specialistico. In una sentenza recente, la Corte di Cassazione ha infatti affermato che "anche il medico chiamato per un consulto ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente e non può esimersi da responsabilità adducendo il fatto di essere stato chiamato per valutare una specifica situazione.
Quindi da un lato l'intervento del medico specialista non esonera da responsabilità il medico che ha chiesto il consulto, per il solo fatto di averlo chiesto, dall'altro lato il medico che si rende disponibile per il consulto assume una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 c.p. ogniqualvolta lo stesso sia in grado di comprendere l'entità della patologia e non faccia tutto ciò che è in suo possesso per curare il paziente ma, al contrario, tenga delle condotte negligenti ed imperite che risultano incompatibili con il ruolo ricoperto e con il fine ultimo della professione medica, vale a dire la salvaguardia della vita e della salute del paziente. In altri termini il medico specialista, chiamato per il consulto, non può invocare a sua discolpa la violazione di regole cautelari da parte dell'altro medico atteso che è proprio sulla violazione di siffatte regole precauzionali che si inserisce la condotta non diligente del medico specialista il quale, resosi conto di una situazione pregiudizievole per la salute del paziente, ha l'obbligo giuridico di attivarsi per impedire la realizzazione dell'evento lesivo