Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 02 Luglio 2022
Categoria: Di Libri di altro

Raffaele La Capria, “Una delle voci più significative del Novecento letterario italiano

 È scomparso a Roma lo scorso 27 giugno Raffaele La Capria, una delle voci letterarie più significative del Novecento.

Aveva 99 anni, essendo nato a Napoli il 3 ottobre 1922.

Nel 1947 si laurea in giurisprudenza.

Dopo inizia una serie di soggiorni in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America.

Al suo rientro, da Napoli si trasferisce a Roma.

Collabora con diversi giornali e riviste che, all'epoca veicolavano idee ed ideologie.

Non bisogna dimenticare che ci troviamo in pieno dopo guerra e i problemi sociali non mancavano, anzi esplodevano di giorno in giorno.

E la letteratura ne rappresentava varie problematiche.

Ci ha lasciato una ventina di romanzi interessanti per comprendere cosa si stesse muovendo, sul piano letterario, e non solo, in quegli anni.

 Bisogna tener presente che l'Italia usciva sconfitta da una guerra che ci aveva lasciato solo macerie.

Era un'epoca in cui i giovani autori, che erano cresciuti durante il fascismo, avevano poche notizie su tutto ciò che si muoveva sul campo letterario degli altri paesi.

Raffele La Capria faceva parte di quel gruppo di autori che avevano dato vita "ad un'area della cultura partenopea", anche se bisogna tener presente che La Capria, dopo il suo trasferimento a Roma, è in questa città che svolge la maggior parte del suo lavoro.

Giornalista, lavora alla RAI, scrive soggetti e sceneggiature di film. In questo campo collabora moltissimo con Francesco Rosi, prestigioso regista di quegli anni.

Nel 1963 scrive la sceneggiatura del film "Le mani sulla città".

un film drammatico diretto da Francesco Rosi. Film drammatico e di impegno civile. È una spietata denuncia della corruzione. Con la sceneggiatura di Enzo Forcella e di Raffaele La Capria. Il soggetto è di Francesco Rosi e Raffaele La Capria.

"L'impresario edile Eduardo Nottola, consigliere comunale di Napoli e candidato a diventare assessore, progetta grandiose speculazioni edilizie. Il crollo di una sua casa non lo ferma: sacrifica il figlio, cambia partito e viene eletto. L'arcivescovo benedice l'inizio dei lavori che modificheranno il volto della città".

L'altro film è "Uomini contro" del 1970, è diretto, sempre, da Francesco Rosi, liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano".

La sceneggiatura: è di Tonino Guerra e Raffaele La Capria.

"Il film ripercorre i combattimenti in montagna durante la Prima guerra mondiale, ai quali partecipa il giovane sottotenente Sassu, che ha modo di scoprire gli orrori della guerra".

 Due film che consiglio di vedere, non solo ai giovani, ma a chi va in cerca di prove per aggiustare il tiro sulla memoria che di quella guerra, come di tutte le guerre, c'è stata tramandata.

Collaborò, anche con la regista Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film "Ferdinando e Carolina".

"Vita, amori e ragion di stato del vecchio Ferdinando I di Borbone, ripercorsi dal sovrano spagnolo dal proprio letto di morte. Un'infanzia scapestrata interrotta dai movimenti politici del padre, Carlo III di Spagna, tesi a sposarlo con una sequela di arciduchesse figlie di Maria Teresa d'Austria. Tra i timori di iettature, progetti matrimoniali, ambizioni e avventure nasce un amore giovane e licenzioso nello scenario della corte di Napoli, ignara della tempesta rivoluzionaria che sta per esplodere in Francia e in tutta Europa".

Ricchissima la sua produzione letteraria.

Nel 1952 pubblica il suo primo romanzo, "Un giorno d'impazienza".

E, nel 1961, pubblica il suo romanzo più noto, "Ferito a morte", che gli fece vincere il Premio Strega.

"La vicenda narrata in "Ferito a morte" si svolge nell'arco di circa undici anni, dall'estate del 1943, quando, durante un bombardamento, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma, all'inizio dell'estate del 1954. Tra questi due momenti il racconto procede per frammenti e flash, ognuno presente e ricordato, ognuno riferito a un anno diverso, anche se tutti sembrano racchiusi, come per incanto, nello spazio di un solo mattino: la pesca subacquea, la noia al Circolo Nautico, il pranzo a casa De Luca... Negli ultimi tre capitoli vi è poi come una sintesi di tutti i successivi viaggi di Massimo a Napoli, disincantati ritorni nella città che «ti ferisce a morte o t'addormenta, o tutt'e due le cose insieme»; nella città che si identifica con l'irraggiungibile Carla, con il mare, con i miti della giovinezza. Se, come ha scritto E.M. Forster, «il banco finale di prova di un romanzo sarà l'affetto che per esso provano i lettori», quella prova "Ferito a morte" l'ha brillantemente superata: libro definito dal suo stesso autore «non facile», cult per molti critici e scrittori, è stato ed è anche un libro popolare, amato e letto, con grande adesione sentimentale, da lettori che poco sapevano di questioni letterarie, ma vi ritrovavano la loro stessa nostalgia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». Un libro, insomma, di iniziazione, di rivelazione e di scoperta dal valore universale".