Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 09 Marzo 2019
Categoria: Di Libri di altro

Quando la politica si occupa di razzismo

Ricordo, sul finire del 2013, che il sindaco socialista di Berna (Svizzera) Alexander Tschäppät aveva partecipato, con un intervento umoristico, di 20 minuti ad uno spettacolo itinerante: "Das Zelt" (Il tendone), davanti ad un pubblico di 1.100 persone.

Due le battute sugli italiani durante lo show:

"La mamma degli italiani dice loro di non crescere. Se diventi grande, devi andare a lavorare".

La seconda spiega lo stupore dei poliziotti bernesi che alla domanda ad un napoletano per sapere che lavoro svolgesse, e ammettendo che svolgeva diverse attività: "È già impossibile che un meridionali lavori, ancor più che svolga più mansioni", ha enfatizzato il sindaco di Berna, incitando le risate del pubblico.

Un sindaco, e sciaguratamente socialista, privo di qualsiasi nozione storica. Se ne avesse avuto avrebbe ricordato tutti gli operai italiani morti nei cantieri di grandi opere svizzere: dalla galleria ferroviaria di fine Ottocento a quella Autostradale del Novecento. Solo per citare le maggiori.

Un avvocato di Basilea, Carlo Alberto Di Bisceglia, aveva depositato una denuncia penale per discriminazione razziale contro il sindaco.

Non mancarono le polemiche sia sulla stampa svizzera che italiana.

Come inevitabile furono gli interventi sul blog, che ha espresso i diversi pareri dei minimalisti e dei massimalisti, come ai "bei" tempi quando ognuno era disposto ad impiccarsi all'albero dell'ideologia.

Inquietanti quelle persone che si collocavano nel "non sono razzista, ma…".

Il deputato nazionale, Corrado Pardini, di origine toscana, ma nato e cresciuto in Svizzera, in un'intervista ad un quotidiano italiano aveva espresso la sua condanna: "Quando c'è di mezzo il razzismo neanche una battuta ci sta. In quel caso bisogna applicare la tolleranza zero. A maggior ragione se chi dice certe cose ricopre una carica pubblica". 

Oggi le cose sono cambiate. In peggio.

Non solo i politici, mi riferisco agli italiani, non lasciano cadere occasione senza intervenire in una specie, nuova, di dibattito sul razzismo senza andare nel sottile. Ma hanno creato delle situazioni, ricorrendo alle menzogne più sfacciate, in cui la paura è diventata un mantra, finendo, quasi sempre, per condizionare i nostri comportamenti.

Abbiamo creduto, e continuiamo a credere, alle invasioni di massa, predicate dai partiti e dai movimenti xenofobi che oltre all'immigrato, a prescindere, hanno in odio l'Europa, "causa di tutti i nostri mali".

Intanto assistiamo a flebili voci che, di tanto in tanto, si inseriscono in un dibattito privo di contenuti e in una forma linguistica desueta.

A questo punto vien da chiederci: vale ancora la pena di usare i "vecchi arnesi" per combattere il razzismo in un mondo, anche nel nostro piccolo mondo, che ha provocato negli ultimi vent'anni una rivoluzione antropologica a livello di linguaggi culturali, politici, sindacali …?

Dove abbiamo sbagliato; quali strategie avremmo dovuto usare per impedire l'imbarbarimento del linguaggio politico, gli attacchi strumentali e disonesti nei confronti di quelle persone, e non sono poche, che negli ultimi decenni si sono esposte nel denunciare gli assalti "all'arma bianca" contro chi osava dissentire dai settimanali insulti e vituperi e offese, prive di senso e di significati, contro galantuomini, validi professionisti ed onesti cittadini.

Martin Luther King amava ripetere: "Non temo le parole dei violenti, ma il silenzio dei giusti". 

In questi decenni troppi sono stati i silenzi omertosi dei "giusti" permettendo il prosperare, ed il proliferare, di movimenti xenofobi che, della xenofobia, hanno fatto la loro ricchezza elettorale. E non solo!

Basta pensare alle vicende della famiglia di Umberto Bossi e ai suoi successori che hanno dilapidato e imboscato 49 milioni di euro, soldi pubblici non di loro spettanza, per restare in campo italiano, ed ognuno può farsene un'idea.

Allora: che fare?

Un anno fa la maggioranza degli elettori italiani hanno premiato un partito e un movimento che avevano promesso "il cambiamento".

Non vogliamo aprire un dibattito se il cambiamento sia avvenuto o meno. Non riusciremmo ad uscire dal pantano.

Ognuno valuti se il cambiamento ci sia stato o meno.

Ognuno penso sia in grado di poter verificare serenamente se questo anno di governo sia riuscito a spazzare via, fosse solo in parte, il vecchiume, il fango, il marcio, il clientelismo, il nepotismo denunciati in anni di opposizione politica.

Risulta a qualcuno che si sia realizzato il nuovo per davvero e che si sia portato via tutto lo stantio e il vecchio, tutto lo sporco e tutto il vuoto, tutto il buio e tutto il marcio che ha ammorbato la vita politica degli ultimi decenni? Invece, mai come oggi, il politico dimostra di essere al di sopra di tutte le regole morali e politiche. Ed umane.

Riappropriamoci delle parole oneste per argomentare le nostre idee e le nostre scelte, a fronte di slogan sbilenchi senza senso e con il solo scopo di buttare fango su ogni interlocutore.

E' un problema culturale? Sì, senza ombra di dubbio!

Il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l'ha detto chiaramente, durante un incontro, ai giovani di studiare e non ha mai smesso, soprattutto, in quest'ultimo anno, di intervenire, anche se non direttamente, non è il suo ruolo, su quei politici che a ruota libera attaccano gli immigrati.

Forse ricordandosi del monito di Primo Levi: "A molti, individui o popolo, può accadere, più o meno consapevolmente che ' ogni straniero è nemico '. Quando questo avviene…al termine della catena sta il lager". 

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