Inquadramento normativo: Artt. 702 bis – 704 quater c.p.c.
Il procedimento sommario e l'ordinanza conclusiva: Il procedimento sommario di cognizione è disciplinato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c., introdotti dalla legge n. 69/2009. La ratio di tale procedimento discende dall'intento «- in parallelo ad esperienze di altri ordinamenti e in adempimento a raccomandazioni sul piano sovranazionale - di dotare l'ordinamento processuale italiano di un rito accelerato. In tal senso ad esempio il rito è connotato da riduzione dei termini a comparire, anticipazione delle preclusioni istruttorie e di merito, deformalizzazione dell'istruttoria». In buona sostanza, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, l'attore può scegliere il rito sommario in alternativa a quello ordinario. Al giudice, poi, è consentito trasformare il rito sommario in ordinario qualora reputi che la causa non rientra tra quelle trattabili con il rito in questione. Il procedimento sommario si introduce con ricorso e si conclude con un'ordinanza che produce gli effetti di cui all'art. 2909 c.c. se non appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione (Cass. civ., n. 14478/2018).
L'appello contro l'ordinanza emessa a conclusione del procedimento sommario: «Non è normativamente prevista la forma del ricorso per l'atto introduttivo del giudizio di appello avverso l'ordinanza conclusiva del giudizio sommario [...], sicché tale forma è quella ordinaria, ossia l'atto di citazione» (Cass. nn. 14502/2014, 26326/2014, richiamate da Cass. civ., n. 6318/2020).
L'ordinanza che definisce il procedimento sommario e l'errore del giudice sulla denominazione: Cosa accade se il giudice adito con ricorso per procedimento sommario di cognizione non adotta alcun provvedimento di conversione del rito, ma denomini erroneamente come "sentenza" anziché come "ordinanza" il provvedimento conclusivo di merito di accoglimento (o rigetto) della domanda? In tali casi occorre esaminare l'errore del giudice, ossia se vi sia un contrasto tra forma adottata e contenuto sostanziale. In buona sostanza occorre «fare un'indagine sugli atti, al fine di accertare se l'adozione da parte del giudice di merito di quella determinata forma del provvedimento decisorio [...] sia stata o meno il risultato di una consapevole scelta, ancorché non esplicitata con apposita motivazione, dovendosi trarre decisivi indizi di una tale scelta consapevole dalle concrete modalità con le quali si sia svolto il procedimento» (Cass. Sez. U, n. 390/2011, Cass., nn. 3672/2012; 20385/2015; 623/2016; 16138/2018, richiamate da Cass. civ., n. 30850/2019). Ove da tale indagine emerge che la diversa denominazione del provvedimento da parte del giudice è solo il frutto di un errore, avendo il giudice stesso seguito il rito sommario scelto dall'attore, in questo caso, sarà applicabile la disciplina di impugnazione del rito in concreto seguito nel grado precedente, ossia quello sommario. E ciò in considerazione del fatto che «il temperamento del principio di "apparenza e affidabilità" ai fini della individuazione del regime di impugnazione di un provvedimento non dà [...] rilievo in sé alla denominazione e alla forma esteriore adottate, quanto alla qualificazione, anche implicita, dell'azione compiuta dal giudice, in coerenza altresì con il principio cosiddetto della ultrattività del rito, dovendosi rinvenire la disciplina del gravame in quella dalla legge stabilita per il rito in concreto seguito nel grado precedente» (Cass., nn. 210/2019, 20705/2018, 13381/2017; 2948/2015; 15897/2014, richiamate da Cass. civ., n. 30850/2019).
Decorrenza del termine di impugnazione dell'ordinanza che definisce il procedimento sommario: Nel rito ordinario, è stato previsto dal legislatore che, ove la sentenza di primo grado non è notificata, è possibile impugnarla entro il termine di sei mesi dalla comunicazione del suo deposito da parte della cancelleria. In buona sostanza «la funzione della comunicazione di cancelleria (rispetto alla quale recede in posizione meramente surrogatoria la notifica a istanza di parte)» costituisce un ulteriore fattore di assicurazione della decorrenza del termine di impugnazione (Cass. n. 22674/2017, richiamata da Cass. civ., n. 14478/2018). Nel rito sommario, invece, nulla è stato previsto in tema di termine c.d. "lungo" di impugnazione, il termine cioè decorrente dalla pubblicazione mediante deposito della sentenza. Detta omissione, «quanto al procedimento sommario di cognizione, è del tutto coerente con la ratio della disciplina, che [...] tende a far scadere in ogni caso il termine per l'appello con il passaggio di trenta giorni dall'emanazione dell'ordinanza», ossia è del tutto coerente alla natura accelerata del procedimento sommario di cognizione. A tal fine, si evidenzia che il termine per l'appello dell'ordinanza che definisce il giudizio di primo grado di cognizione sommaria decorre dalla "comunicazione" o dalla notificazione. Con l'espressione "dalla comunicazione" si intende anche "dalla pronuncia dell'ordinanza in udienza a comunicazione". Ne consegue che il termine per appellare l'ordinanza pronunciata in udienza e inserita a verbale, pur se non comunicata o notificata, decorre dalla data dell'udienza stessa, con esclusione della possibilità di applicare l'art. 327 c.p.c. (Cass. civ., n. 14478/2018).