Inquadramento normativo: Artt. 99 e 112 c.p.c.
La qualificazione giuridica dei fatti e l'insindacabilità: Nel processo civile, il giudice di merito procede alla qualificazione e all'interpretazione del contenuto della domanda. L'interpretazione effettuata dal giudice di merito è insindacabile ad eccezione delle ipotesi in cui sia stato commesso un errore e questo:
- «ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell'attività del Giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, c.p.c., comma 1, n. 4;
- si traduca in un vizio del ragionamento logico decisorio, ma anche in tal caso, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del "petitum", potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere dedotto come vizio di nullità processuale ex art. 360, c.p.c., comma 1, n. 4;
- coinvolga la "qualificazione giuridica" dei fatti allegati nell'atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un "fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo", allora in tal caso, la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di "error in judicando"[...]»
(Cass. civ., n. 11103/2020).
Con riferimento all'attività di qualificazione giuridica dei fatti dedotti nell'atto introduttivo, il magistrato deve andare oltre alle espressioni adoperate dalla parte, in quanto deve effettuare una valutazione del contenuto sostanziale della pretesa, «desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto» (Cass., n. 27428/2005, richiamata da Cass. civ., n. 11103/2020). Per questo tipo di valutazione, il giudice si affida al solo criterio ermeneutico volto ad indagare il contenuto che emerge dal testo dell'atto in base al significato palese dalle parole e alla loro connessione logica. Un significato, questo, evincibile:
- dalla complessiva lettura del contenuto dell'atto;
- dalla situazione dedotta in giudizio;
- dallo scopo pratico perseguito dall'istante con il ricorso all'autorità giudiziaria.
(Cass. Sez. U, n.n. 10840/2003; 3041/2007, richiamate da Cass. civ., n. 11103/2020).
Dall'attività di qualificazione giuridica restano, pertanto, «esclusi quei criteri ermeneutici soggettivi e oggettivi previsti per gli atti negoziali, che implicano la ricerca della comune intenzione delle parti» (Cass., nn. 4754/2004; 24847/2011; 25853/2014, richiamate da Cass. civ., n. 11103/2020). Ne consegue, quindi, che per la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato, ad esempio, il criterio da tener conto per accertare che non di tratti di lavoro autonomo, «è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato».
Tutti gli altri elementi «(quali collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e coordinamento con l'attività imprenditoriale, assenza di rischio per il lavoratore, forma della retribuzione), hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria [...], tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa delle peculiarità delle mansioni» (Cass. S.U. n. 379/99; Cass. n. 9623/02, richiamate da. Tribunale Rieti Sez. lavoro, sentenza 28 maggio 2020).
Qualificazione giuridica del rapporto dedotto nell'atto introduttivo diversa da quella ritenuta dalla parte: Il giudice di merito, all'esito dell'attività di qualificazione giuridica del rapporto dedotto nell'atto introduttivo, può applicare una legge diversa da quella invocata dalla parte e qualificare giuridicamente in modo differente la fattispecie, fermo il rispetto dei fatti posti a fondamento della domanda (Corte d'Appello L'Aquila, sentenza 9 giugno 2020). «Anche il giudice d'appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il "petitum" e la "causa petendi" ed eserciti tale potere-dovere nell'ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto a essa, soccombente» (Cass., n. 12875/2019, richiamata da Corte d'Appello Trento Bolzano, sentenza 14 febbraio 2020).
Qualificazione giuridica e giudicato: Quando la qualificazione giuridica del rapporto dedotto nell'atto introduttivo, prospettata dal giudice, è diversa da quella ritenuta dalla parte, nell'ipotesi in cui quest'ultima ometta di impugnarla, su detta qualificazione si formerà il giudicato (Cass., nn. 21490/2005,18427/2013, richiamate da Cass. civ., n. 34026/2019).