Inquadramento normativo: Art. 426 c.p.c.; Art. 667 c.p.c.
Il mutamento del rito: «Il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c., fissa con ordinanza l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. assegnando il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria». Il mutamento del rito è previsto anche in caso di opposizione o mancata convalida della licenza di finita locazione o dello sfratto.
Mutamento del rito e contenuto delle memorie integrative: Nelle ipotesi di mutamento del rito, le parti possono depositare solo memorie integrative che non devono contenere domande nuove. In caso contrario dette domande saranno inammissibili; un'inammissibilità, questa, rilevabile anche d'ufficio dal giudice, non sanabile neppure con l'accettazione del contraddittorio (Cass., n. 11596/2005, richiamata da Tribunale Roma, sentenza 3 ottobre 2019). In punto, con riguardo al mutamento del rito previsto dall'art. 667 c.p.c. (ossia con riferimento al mutamento di rito in caso di opposizione o di mancata convalida della licenza o dello sfratto), si rileva che il passaggio da un rito all'altro «non dà luogo a un nuovo e diverso processo rispetto a quello instaurato con il rito sommario di convalida ma ne rappresenta la semplice prosecuzione. Conseguenza di questa ovvia constatazione è la conclusione che l'intimante potrà modificare le domande contenute nell'originario atto di citazione ma non potrà certo aggiungerne di nuove» (Tribunale Roma, sentenza 3 ottobre 2019).
Mutamento del rito, preclusioni e rimessione in termini: Il mutamento del rito dall'ordinario allo speciale non dà origine a una regressione della sequenza processuale.
Il termine concesso per il deposito delle memorie integrative, infatti:
- non costituisce una sorta di condono dalle preclusioni già maturate;
- è assegnato per consentire alle parti di adeguarsi alle regole del rito speciale in cui si incede (Cass. civ., n. 33178/2018).
Con riferimento al «passaggio da rito ordinario a rito locatizio, il mutamento del rito[...] non determina - neppure a seguito di fissazione del termine perentorio [...] per l'integrazione degli atti introduttivi - la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, [...] non valendo la stessa a ricondurre il processo a una fase anteriore a quella già svoltasi» (Cass., n. 9550/2010, richiamata da Cass. civ., n. 33178/2018).
Mutamento del rito, valutazione degli atti depositati prima del passaggio e domande ammissibili: Sul piano formale, «gli atti posti in essere anteriormente al passaggio al rito speciale devono essere valutati in base alle regole di quello ordinario». Ne consegue che sono ammissibili:
- le domande di ripetizione di somme asseritamente pagate in esubero a titolo di canone di locazione e di restituzione di quanto versato a titolo di deposito cauzionale, se proposte prima del mutamento del rito, ove vi sia stata accettazione del contraddittorio sul punto (Cass., n. 27519/2014, richiamata da Tribunale Roma, sentenza 11 maggio 2018);
- la domanda di risoluzione contrattuale in luogo dell'originaria richiesta di esatto adempimento.
E ciò in considerazione del fatto che tale mutamento è consentito dall'art. 1453 c.c.. Questa norma, disponendo che «nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l'adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell'altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, [...] sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi e, quindi, degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria» (Cass., n. 8234/2009, richiamata da Tribunale Roma, sentenza 11 maggio 2018).
Mutamento del rito e fissazione del termine perentorio per il deposito delle memorie integrative: Se in caso di mutamento di rito, il giudice non assegna alle parti il termine perentorio per consentire il deposito di memorie integrative, detta mancanza non determina alcun vizio del procedimento. E questo ove non risulti che tale omissione abbia in concreto comportato pregiudizio e limitazioni al diritto di difesa. In queste ipotesi, la mancanza in questione, se non comporta una limitazione della difesa su citata non si pone in contrasto con l'art. 111 Cost. In forza della disposizione costituzionale in esame, se è vero che occorre dar rilievo tanto al principio di ragionevole durata del processo quanto a quello del diritto di difesa, è altrettanto vero che occorre escludere tutto ciò che porti a una regressione del processo per il mero rilievo della mancata realizzazione di determinate formalità. E ciò soprattutto quando l'omissione di queste non abbia comportato alcuna limitazione delle garanzie difensive. Ne consegue che, se il giudice non ha assegnato il termine perentorio in questione, perché detta mancanza sia pregiudizievole per la parte che se ne duole, quest'ultima non deve solo genericamente lamentarsi della mancata possibilità di integrazione delle istanze istruttorie, ma ha «l'onere di specificare quali ulteriori istanze istruttorie sarebbero state proposte e non hanno trovato ingresso nel processo in conseguenza della mancata assegnazione del termine per la integrazione degli atti» (Cass. civ. Sez. lavoro, n. 14186/2017).