La giornalista Marina Ovsyannikova potrebbe essere condannata dai 3 ai 15 anni di carcere per aver mostrato la parola "guerra" su un cartellone durante la trasmissione di un servizio d'informazione televisivo. La nuova legge entrata in vigore in Russia non permette di diffondere 'false informazioni', nella narrazione proposta dal Cremlino l'invasione Ucraina è di fatti raffigurata come un atto legittimo e necessario, non una guerra ma un tentativo di liberazione e denazificazione di un popolo.
La propaganda russa cerca ancora di fomentare l'anti-americanismo (con buona pace di aziende multinazionali come McDonald's che hanno abbandonato il territorio e parcheggiato il sogno americano in fila ai McDrive di Mosca) e giustificare l'operazione in Ucraina come riposta all'invasione della Nato. Un racconto che pochi a Mosca osano contrastare e che l'occidente, almeno nella forma filogovernativa, ha deciso di oscurare, come i profili social di Sputnik e dell'emittente RT. Dal primo marzo la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, in seguito al precipitarsi degli eventi in Ucraina, decideva il blocco di alcuni media legati al Cremlino sul territorio europeo.
Rimane da chiedersi perché bloccare gli unici media filogovernativi come se si trattasse dell'account Twitter di Donald Trump. In fin dei conti anche questi strumenti potrebbero svelarci i metodi adottati dal governo russo per diffondere il proprio messaggio, e perché no permetterci di avere una visione più ampia sulla questione (comunicativa). Ci vuole coraggio ad opporsi alla propaganda interna, Marina Ovsyannikova pagherà 30 mila rubli (circa 250 euro), o con il carcere, il prezzo della libertà d'espressione, pur sapendo che l'opinione pubblica in Russia è più compatta di quanto non vorrebbero farci credere.
Diversi sondaggi ci dicono che la capacità e il valore dell'esercito russo siano valutati positivamente dalla maggioranza dei cittadini. È triste intanto leggere gli ultimi articoli di una testata come Novaja Gazeta, che in passato ospitava firme di spessore come Anna Politkovskaja, e scoprire che molte parole come 'aggressione', 'guerra', 'invasione', contengano asterischi o siano del tutto censurate da parte dell'agenzia predisposta alla verifica dell'informazione. La narrazione russa cerca di sviare l'attenzione dei cittadini su altre guerre (come i bombardamenti in Yemen) e identificare la Nato come il vero aggressore, intanto nella retorica bellica ci troviamo di fronte due versioni opposte del conflitto.
Ci chiediamo dove stia la verità, forse in mezzo, mentre spicca la figura del premier ucraino Zelensky e la capacità (derivante forse dalla sua esperienza attoriale) di dialogare e adottare il giusto metro a seconda del contesto e dell'interlocutore: il popolo ucraino, il popolo russo, i leader occidentali, Vladimir Putin, il Congresso di Washington, il Parlamento UE.
Dal lato ucraino, l'enorme visibilità di Zelensky viene sfruttata per descrivere il conflitto interno come qualcosa che riguarda non solo il futuro dell'Ucraina ma quello di tutti noi. È la contrapposizione tra due visioni differenti del mondo, un conflitto che si combatte soprattutto sul piano della propaganda, l'arma più antica e potente della storia, capace di ribaltare governi, mobilitare masse o educarle al peggio.