Si segnala la sentenza in commento, n. 37201 depositata lo scorso 5 settembre 2019, per le statuizioni in essa contenute in ordine ai criteri di commisurazione delle sanzioni accessorie, previste dall'art. 216 l. fall.
Come noto, su tale disposizione è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sent. n. 222 del 2018, ne ha dichiarato la illegittimità nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziché: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni".
Le conseguenze applicative di tale decisione hanno riguardato non solo la durata della sanzione accessoria speciale presa in esame dalla Corte, come dalla stessa rideterminata, ma anche, più in generale, i criteri di determinazione del quantum delle sanzioni accessorie, imponendo una riflessione sulla loro natura.
Le pene accessorie svolgono una funzione complementare rispetto a quelle principali.
Per indicazione normativa, art. 20 c.p., esse conseguono di diritto alla condanna e sono considerate effetti penali.
In materia, quindi al principio della determinazione giudiziale discrezionale, cui è ispirato il sistema delle pene principali, si contrappone quello dell'automatismo e della consequenzialità.
Uno degli aspetti più problematici dell'attuale sistema delle sanzioni accessorie riguarda di conseguenza la determinazione della loro durata.
L'art. 37 c.p. dispone che, quando la durata della sanzione accessoria non è espressamente determinata, essa ha durata uguale a quella della pena principale inflitta. La disposizione ha creato dei dubbi applicativi nelle ipotesi in cui la legge si limita a stabilire un limite minimo ed altro massimo di durata con un possibile intervallo compreso tra due estremi, oppure una sola soglia temporale insuperabile e una protrazione non inferiore o non superiore a tale soglia.
Tale è l'ipotesi della sanzione accessoria prevista dall'art. 216 l. fall. a seguito dell'ultimo intervento della Corte Costituzionale.
In queste ipotesi, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 6240 del 27/11/2014) affermava che dovesse trovare applicazione l'art. 37 c.p. poiché riteneva che fosse espressamente determinata soltanto la pena che fosse stata fissata precisamente dal legislatore nella specie e nella durata, senza lasciare nessuno spazio per una commisurazione discrezionale del giudice.
Sebbene a seguito di tale arresto, l'indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità avesse seguito tale indicazione, le Sezioni Unite, nel 2019 (sent. n. 28910 del 28 febbraio 2019, depositata il 3 marzo 2019) hanno mutato il loro orientamento.
Dirimente a tali fini è risultato il netto disfavore per l'automatismo punitivo sotto l'aspetto dosimetrico delle pene accessorie espresso dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento all'art. 216 l. fall.
Nell'evoluzione nell'interpretazione del trattamento sanzionatorio e della sua funzione vengono infatti in rilievo i principi di uguaglianza, legalità, finalità rieducativa della pena e personalità della responsabilità che ricevono attuazione nella legislazione ordinaria mediante previsioni sanzionatorie che vanno da un minimo ad un massimo e che vengono individualizzate e proporzionate alle caratteristiche della fattispecie concreta in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p.
Ebbene, la diversa funzione delle sanzioni accessorie, marcatamente orientate a fini di prevenzione speciale e di rieducazione personale per la realizzazione di tale finalismo preventivo richiede una modulazione personalizzata conseguibile solo ammettendo la loro determinazione caso per caso tramite i parametri dell'art. 133 c.p. e di cui – secondo la Corte di Cassazione – è obbligo dare conto con congrua motivazione.
La sentenza in commento si inserisce in questo filone precisando, però, come la commisurazione delle sanzioni accessorie effettuata ai sensi dell'art. 37 c.p. piuttosto che a norma dell'art. 133 c.p. non costituisce un motivo di illegalità delle stesse sia perchè ricomprese nei limiti edittali, sia perchè il diverso parametro promana da un'interpretazione giurisprudenziale.
Ne consegue che, in assenza di specifico motivo di ricorso, la Corte non può emendare la sentenza impugnata sotto tale profilo.