Con la sentenza n. 254 dell'8 gennaio 2024, la terza sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato irricevibile, per tardività,il reclamo avverso un provvedimento commissariale proposto oltre i termini decadenziali previsti dall'art. 114, comma 6, c.p.a.
Il collegio di Palazzo Spada, capovolgendo l'orientamento in precedenza espresso con la sentenza n. 1337/2018, ha affermato che al reclamo promosso avverso gli atti del commissario ad acta ex art. 117, comma 4, c.p.a., non si applica il rito del silenzio inadempimento, ma il comma 6 dell'art. 114 c.p.a. il quale dispone che "avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni".
Secondo il Consiglio di Stato, il ritenere che al reclamo in oggetto possano applicarsi i termini previsti per lo speciale rito del silenzio, "appare decisamente incongruo, in quanto estende all'impugnazione di un atto avente indubbio contenuto provvedimentale il regime elaborato dal legislatore per una situazione ontologicamente diversa, ossia per l'azione proposta avverso una inerzia, un non-provvedimento della p.a., con intuitivi effetti anche sul piano della certezza e stabilità degli effetti giuridici discendenti dal provvedimento commissariale".
A sostegno dell'interpretazione accolta nella sentenza in commento, i giudicanti hanno poi osservato che: a) una conversione del regime processuale analoga a quella che si determina nel passaggio dall'azione ex art. 117 c.p.a. al reclamo impugnatorio dell'atto commissariale si registra, sempre nel rito sul silenzio, nel caso in cui nel corso dello stesso sopraggiunga il provvedimento dell'Amministrazione e venga a cessare l'inerzia inizialmente censurata: anche in quel caso all'azione ex art. 117 c.p.a. si sostituisce un ricorso a carattere impugnatorio soggetto a preclusione decadenziale con decorrenza del relativo termine dall'adozione dell'atto (art. 117, comma 5, c.p.a.: "Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito");
b) l'opposta soluzione appare incongrua rispetto al regime temporale dell'azione previsto dall'art. 31 c.p.a., poiché se è vero che l'azione avverso il silenzio-inadempimento "può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento" (art. 31, comma 2, c.p.a.), in un caso come quello di specie, in cui il silenzio è stato infranto dal sopravvenire dell'atto commissariale, la predetta regola non trova più validi punti di riferimento applicativo sicché sarebbe illogico qualunque dei seguenti esiti alternativi, ovvero: a) quello di tenere ferma la decorrenza del termine come individuato dall'art. 31, comma 2, c.p.a. - posto che l'atto commissariale potrebbe sopravvenire anche oltre il termine massimo annuale e quindi sfuggire al dies ad quem di esperibilità del reclamo; b) quello di far decorrere il termine annuale dall'atto sopravvenuto – posto che ciò che si assume implicitamente nell'impostazione in commento è che l'inerzia dell'amministrazione perduri nel tempo e che il procedimento non sia ancora giunto a conclusione: in uno scenario di questo tipo, costituirebbe solo una fictio, del tutto contraddittoria con la richiamata premessa, quella che assumesse l'adozione dell'atto commissariale quale momento di ulteriore abbrivio del procedimento, al quale agganciare una nuova decorrenza del termine annuale ex art. 31, comma 2, c.p.a..