Di Giulia Zani su Venerdì, 06 Luglio 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto e procedura penale

Sospensione della patente e patteggiamento

Con la sentenza n. 29179/2018, la Corte di Cassazione ha affermato che la sanzione amministrativa della sospensione della patente deve essere sempre disposta, quando applicabile, anche in caso di patteggiamento.

FATTO

La Corte veniva investita di un ricorso avverso una sentenza di patteggiamento da parte della pubblica accusa.

Il Procuratore Generale deduceva, come motivo di ricorso, la violazione di legge per aver il Tribunale mancato di applicare, in caso di sentenza di patteggiamento per omicidio colposo per violazioni delle norme sulla circolazione stradale, la sanzione amministrativa prevista dall'art. 222 c.d.s., ovvero la sospensione della patente.

Rilevava altresì come l'errore in diritto non potesse essere emendato tramite il procedimento di correzione dell'errore materiale in quanto il tempo di sospensione della patente doveva comunque essere deciso dal giudice del rinvio.

Infine, rilevava come i motivi di ricorso avverso la sentenza di patteggiamento, a seguito della riforma disposta con la l. n. 103/2017, fossero indicati tassativamente all'art. 448 co. 2 bis c.p.p. e non ricomprendessero - in maniera espressa - la mancata applicazione o l'erronea indicazione delle sanzioni amministrative.

Concludeva chiedendo quindi che la Corte, in subordine, qualora non avesse ritenuto di poter censurare la violazione di legge con riguardo alla sanzione amministrativa, sollevasse questione di legittimità costituzionale del nuovo comma del codice di procedura penale. 

MOTIVAZIONI

Le questioni rilevanti affrontate dalla Corte di Cassazione sono di due tipi: una di tipo processuale e una di tipo sostanziale.

La prima ad essere affrontata è quella della applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente, anche in caso di patteggiamento, per il delitto di cui all'art. 589 co. 1 e 2 c.p.

Nello sviluppo della propria argomentazione la Corte ha preso le mosse dalla differenza tra le pene e sanzioni amministrative.

Solo le prime possono essere oggetto di trattativa e accordo tra le parti nel processo penale.

Le sanzioni amministrative, invece, si collocano fuori dalla "​sfera di operatività dell'accordo che investe il patteggiamento propriamente detto".

L'art. 445 c.p.p., infatti, in tema di patteggiamento prevede che "1. La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale."

La disposizione, ha carattere eccezionale e, in ogni caso, non può essere interpretata in maniera analogica poiché se il legislatore ha inteso escludere espressamente solo l'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza in caso di sentenza di patteggiamento; diversamente, nulla ha previsto per la sanzioni amministrative, tipologia di sanzioni solo per alcuni versi simile a quella delle pene accessorie alle quali, tuttavia, non sono assimilabili.

In altri termini, il giudice, anche in ipotesi di patteggiamento, deve applicare, ove prevista, anche la sanzione amministrativa della sospensione della patente, indipendentemente dalla volontà delle parti sul punto. 

Il secondo elemento di tipo processuale, invece, si presenta più critico e, peraltro, ci si permette di dire, viene lasciato parzialmente irrisolto dalla Corte, la quale, opta per una soluzione di giustizia sostanziale.

Il tema tuttavia non è banale e merita approfondimento.

Il d.lgs. 103/2017 ha innovato il regime delle impugnazioni anche con riguardo alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Ha previsto che il provvedimento del giudice, emesso all'esito di questo rito speciale che riproduca l'accordo tra le parti, non possa essere oggetto di impugnazione se non:

1. per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato,

2. al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza,

3. all'erronea qualificazione giuridica del fatto e

4. all'illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Il testo dell'articolo non menziona le sanzioni amministrative e tale violazione non può essere neppure ricondotta alla categoria delle pena o delle misure di sicurezza, per le ragioni sopra ricordate.

La Corte, di conseguenza, da un lato, afferma che le stesse si pongono al di fuori dei casi previsti dall'art. 448 co. 2 bis c.p.p., rientrando solo nei motivi di ricorso di cui all'art. 606 co. 2 c.p.p., inapplicabile al caso della sentenza di patteggiamento.

Ad ogni modo, d'altra parte, "sebbene il ricorso promosso dal Procuratore Generale, sia soggetto ratione temporis […] alla disciplina dettata dall'art. 448 c.p.p nella nuova formulazione", ritiene di non voler sollevare questione di costituzionalità, accogliendo il ricorso del Procuratore sul punto. 

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