Il CCNL del 21 maggio 2018 ha introdotto, nel codice di comportamento di fonte contrattuale di cui all'art. 57, all'ultimo capoverso (lettera q), una previsione di nuovo conio, che impone l'obbligo in capo al dipendente del comparto, di comunicare all'amministrazione la sussistenza di provvedimenti di rinvio a giudizio in sede penale.
Si tratta di obbligazione di notevole pregnanza, innanzitutto alla luce della sanzionabilità della eventuale inottemperanza, a rigore dell'art. 59 comma 10 del CCNL, secondo il quale, pur in mancanza di apposita previsione sanzionatoria nel codice disciplinare "Le mancanze non espressamente previste nei commi precedenti sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all'individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi dei lavoratori di cui all'art. 57, e facendosi riferimento, quanto al tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti".
L'espresso richiamo all'art. 57 elimina ogni residuo dubbio quanto alla rilevanza disciplinare della violazione che, prima facie, appare di non trascurabile entità, sol che si consideri che l'omissione potrebbe incidere sul regolare corso dell'azione disciplinare a carico dello stesso soggetto che – come agevolmente può desumersi – ha un interesse contrapposto a quello dell'amministrazione sul punto.
Infatti, laddove l'amministrazione non sia già venuta a conoscenza del fatto disciplinarmente rilevante, è verosimile che sia lo stesso dipendente a dare spunto all'ente per procedere in tal senso, mercé la propria comunicazione in ottemperanza alla surriferita disposizione.
L'art. 3, comma 1, della legge 97/2001, disciplina il trasferimento del dipendente per il quale è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale. Per come è formulata la disposizione "… lo trasferisce ad ufficio diverso…" la misura è da intendersi come obbligatoria, al momento in cui il dipendente è rinviato a giudizio per uno dei reati indicati, tra i quali è contemplata la corruzione ma non l'abuso d'ufficio.
L'art. 16, comma 1, lettera l-quater, del d.lgs. 165/2001, contempla, tra i compiti e i poteri dei dirigenti generali, il monitoraggio "delle attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell'ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva".
Tale disposizione è evidentemente meno precisa, sia in ordine alla natura del reato di cui è sospettato il dipendente che al momento del procedimento penale in cui occorre intervenire.
Nell'aggiornamento al PNA del 2018, l'Autorità Nazionale Anticorruzione interpretava la norma in maniera restrittiva sul piano del momento rilevante per applicare la rotazione straordinaria, individuandolo nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero al termine delle indagini preliminari. Successivamente, con la delibera n. 215 del 26 marzo 2019, l'ambito di applicazione della rotazione straordinaria si è esteso, anticipando il momento dell'adozione della misura cautelare a quello in cui il soggetto viene iscritto nel registro delle notizie di reato, di cui all'art. 355 c.p.p. sulla considerazione che il termine "procedimento penale" comprende, anche, la fase delle indagini preliminari.
In merito alla nozione di "condotta di natura corruttiva" invece, l'ANAC precisa nella citata delibera i reati per i quali la misura è obbligatoria, distinguendoli dagli altri delitti contro la P.A. (abuso d'ufficio) per i quali è, evidentemente, facoltativa. È necessario, pertanto, che non appena l'Amministrazione venga a conoscenza di indagini penali a carico di un dipendente, acquisisca le informazioni utili a valutare se e come applicare la rotazione straordinaria.