Con la sentenza n. 2886/2018 la Corte di Cassazione ha fornito un'autorevole interpretazione dei requisiti per la revoca della messa alla prova di cui al n. 2 art. 168 quater c.p., chiarendo anche i limiti del potere discrezionale di apprezzamento del giudice procedente nell'adozione del provvedimento.
FATTO
Nel caso sottoposto al suo esame, il Tribunale di Torino aveva revocato la sospensione del procedimento con messa alla prova del ricorrente, accusato del reato di resistenza e lesioni personali a pubblico ufficiale, poiché, dalla comunicazione di una notitia criminis trasmessagli dalla Questura di Genova, risultava che avesse commesso ulteriori reati di detenzione a fine di spaccio di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale
Argomentava che tale conclusione era necessaria poiché la commissione di tali reati imponeva, a norma dell'art. 168 quater c.p., la revoca della sospensione del procedimento senza che residuasse alcuna discrezionalità in capo al giudice.
Avverso tali statuizioni ricorreva l'imputata ritenendo che il Tribunale avesse errato nel ritenere di applicare il n. 2 dell'art. 168 quater c.p. solo a fronte della comunicazione di una notizia di reato, senza richiedere l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato che ne avesse accertato la commissione e senza valutare comunque la condotta serbata dall'imputata, il suo pentimento, l'adesione alle prescrizioni, l'adempimento di obblighi risarcitori.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha chiarito i limiti del potere di apprezzamento discrezionale del giudice rispetto ai requisiti per la revoca dell'ammissione alla messa alla prova.
ARGOMENTAZIONI
Le questioni interpretative affrontate dal Collegio sono due:
1. se la revoca della sospensione del procedimento consegua automaticamente in presenza delle condotte ex art. 168 quater c.p.;
2. se il riferimento alla "commissione" del n. 2 dell'art. 168 quater c.p. richieda l'accertamento della commissione del delitto non colposo e del nuovo reato della stessa indole con sentenza passata in giudicato.
Per rispondere ad entrambi i quesiti si rende necessario ripercorrere, nelle parole della Corte, l'istituto della messa alla prova.
La messa alla prova è un istituto introdotto nell'ordinamento recentemente con la l. 67/2014, quale strumento di deflazione processuale e di alleggerimento della situazione carceraria, su spinta e suggerimento della sentenza CEDU Torregiani.
In assenza di un provvedimento di accertamento della responsabilità, è consentito, all'imputato che ne faccia richiesta, cominciare un percorso alternativo al carcere con funzione special preventiva, ma anche in ottica rieducativa, subordinata ad una duplice valutazione discrezionale del giudicante il quale deve fare una prognosi sulla recidiva del soggetto che chiede l'ammissione alla messa alla prova e sul programma proposto, alla luce delle peculiari esigenze del caso concreto.
Peraltro, il percorso ha più di una conseguenza premiale in quanto, sebbene a fronte della rinuncia al dibattimento, consente di ottenere la sospensione del procedimento penale e, in caso di esito positivo della messa alla prova, l'estinzione del reato.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno poi chiarito come la messa alla prova rappresenti una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e abbia una natura ibrida tanto procedurale – al punto da essere ricompresa tra i riti speciali - quanto sostanziale poiché implica l'affidamento ad un servizio sociale per lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità.
L'art. 168 quater c.p. prevede infine che la sospensione del procedimento sia revocata in tre casi:
1. reiterata violazione del programma e delle prescrizioni imposte;
2. rifiuto della prescrizione del lavoro di pubblica utilità;
3. commissione di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per il quale si procede.
Tutte e tre le ipotesi dimostrano l'infedeltà del soggetto rispetto all'impegno assunto nei confronti dell'ordinamento e smentiscono la fiducia accordatagli circa il buon esito della prova e la prognosi negativa sulla recidiva.
Mentre le prime due ipotesi, come chiarisce la Corte, hanno una natura endoprocedimentale, la terza (di cui al n. 2 dell'art. 168 quater c.p.) dipende da una condotta esterna al procedimento di messa alla prova, ma incide su un elemento essenziale per la sua prosecuzione.
La commissione dell'ulteriore fatto reato, infatti, rileva su due piani.
Con riguardo al procedimento di messa alla prova, costituisce causa di revoca dell'ammissione e presupposto per la ripresa del procedimento sospeso, nonché preclusione definitiva per il futuro si accesso a questo istituto.
Sotto altro profilo, permette, invece, che si dia inizio ad un iter processuale autonomo.
Il concetto di commissione è da intendersi quindi come un accadimento storico – naturalistico, fatto illecito rimesso alla valutazione del giudice del procedimento sospeso.
Ai fini della revoca dell'ammissione alla messa alla prova non è infatti necessario che sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva e passata in giudicato.
Una tale interpretazione risulterebbe contraria alla logica premiale sottesa all'istituto.
Da un lato, implicherebbe il definitivo venire meno della discrezionalità del giudice nella valutazione del nuovo fatto naturalistico, il quale deve, invece, valutare l'integrazione di una fattispecie delittuosa.
Dall'altro, finirebbe per lasciare al giudice della messa alla prova solo la valutazione circa le trasgressioni (meno gravi) rispetto al programma di trattamento, rimettendo, invece, ad altro giudice, le valutazioni sui fatti di reato, ovvero su fatti più gravi, comunque rilevanti ai fini della valutazione prognostica di pericolosità, presupposto per l'accesso al rito alternativo.
Infine, la sentenza di accertamento del nuovo fatto reato – salve rarissime eccezioni – diverrebbe definitiva sempre e solo dopo la conclusione del percorso di messa alla prova finendo così per incentivare condotte dilatorie del procedimento penale tese a ritardare il formarsi del presupposto della revoca all'ammissione.
Non è presente infatti nessun meccanismo di sospensione o di revoca della sentenza di estinzione del reato nel caso in cui intervenga una sentenza definitiva di condanna successivamente al provvedimento di estinzione del reato all'esito della messa alla prova.
Peraltro, la non necessità di attendere il passaggio in giudicato della nuova sentenza di condanna si pone in armonia con la funzione special preventiva dell'istituto, poiché consente al giudice di valutare in itinere tutti quei comportamenti dai quali sia possibile desumere che il soggetto non sia meritevole di proseguire nel percorso alternativo alla detenzione.
Naturale conseguenza di queste premesse è che l'accertamento circa l'avvenuta commissione del reato deve essere affidata al giudice del sub procedimento di messa alla prova, senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza resa nell'autonomo procedimento penale.
Ciò posto, è necessario evitare di far scattare l'effetto revocatorio della sospensione del procedimento in presenza di situazioni ancora non nette, suscettibili di esiti aperti nel corso del procedimento apertosi per il nuovo fatto reato.
Occorre ricordare infatti come non sia prevista neppure una revoca della revoca ovvero il riconoscimento all'imputato degli effetti favorevoli dell'art. 168 ter c.p. qualora si accerti che il fatto "commesso" non costituisca reato.
Risulta quindi essenziale che la prova della commissione del nuovo fatto reato sia fornita in termini di elevata probabilità ai fini della quale potrà, senza dubbio, venire in rilievo la sentenza di primo grado resa da altro giudice, sebbene non ancora divenuta definitiva, oltre che l'applicazione di un provvedimento cautelare, divenuto irrevocabile o il decreto che dispone il giudizio etc.
Ne consegue che particolarmente prudente dovrà essere l'accertamento del giudice qualora le informazioni fornitegli in merito a questo secondo fatto siano solo quelle di una notitia criminis, contenuta in una denuncia o in una querela.
Ecco che allora diviene essenziale la valutazione da svolgersi in contraddittorio anche nell'udienza exart 464 octies c.p.p. in cui le parti dovranno/potranno addurre documenti, sottoporre al giudice le proprie prospettazioni e realizzare un contraddittorio pieno circa la "commissione" dell'ulteriore reato.
La difesa potrà in quella sede offrire elementi dai quali sia desumibile che il reato non è della stessa indole. Infine, visto il richiamo all'art. 127 c.p.p. l'imputato potrà essere sentito, ove lo richieda.
Chiaro che, una volta accertata la ricorrenza di una delle ipotesi dell'art. 168 quaterc.p., non residua in capo al giudice alcuna discrezionalità di decidere di proseguire comunque con la messa alla prova.
La lettera dell'art. 168 quater c.p., infatti, prevede laconicamente che la messa alla prova "è revocata" nelle ipotesi precisate nella disposizione.
L'interpretazione letterale di questa disposizione impone di ritenere che, qualora il giudice ravvisi la ricorrenza di una di queste condizioni il giudice debba operare la revoca della messa alla prova, senza poter svolger alcun ulteriore apprezzamento.
Come anche testimoniano le disposizioni processuali, infatti, il contraddittorio tra le parti può vertere solo sui presupposti per la revoca, non sulla opportunità di disporlauna volta a che uno di questi venga accertato.
Peraltro, nell'ipotesi in cui il giudice ravvisi la commissione di un altro reato, del tutto coerente anche sotto un profilo sostanziale risulta la revoca della messa alla prova.
La funzione premiale del rito speciale, infatti, vede tra i suoi presupposti una prognosi positiva sulla mancata commissione di ulteriori reati da parte del richiedente.
La revoca in caso di commissione di un altro reato è quindi coerente con tale presupposto dal momento che è una chiara smentita di questa prognosi che ne costituisce condicio sine qua non. Viceversa, tale presupposto rimarrebbe svalutato se si rimettesse al giudice la valutazione sulla opportunità di proseguire con la messa alla prova anche a fronte della provata incapacità dell'imputato di astenersi dal commettere ulteriori reati.
CONCLUSIONI
In conclusione, in capo al giudice che ha accertato, sebbene incidentalmente, la commissione di un nuovo fatto di reato rientrante tra quelli indicati dal n. 2 dell'art. 168 quater c.p., non residua alcun potere discrezionale di decidere comunque di proseguire nel percorso di messa alla prova dovendo revocare l'ammissione dell'imputato.
L'accertamento del requisito della "commissione" deve però essere puntuale e deve esserne dato atto nella motivazione dell'ordinanza di revoca, censurabile sotto questo profilo anche in Cassazione.